Dal 2022, la Commissione Europea ha avanzato una proposta di Direttiva per combattere la violenza contro le donne, inclusi crimini come la mutilazione genitale femminile e il cyberstalking, con l’intento di classificare ogni atto sessuale non consensuale come stupro in tutta l’Unione Europea, stabilendo per esso una pena minima di otto anni. Dopo intensi dibattiti, tuttavia, la proposta è stata rifiutata dai governi nazionali dell’Ue, riuniti nel Consiglio Europeo, con la decisione dello scorso 6 febbraio. Mentre in Italia eravamo tutti distratti dal festival sanremese, è stata esclusa specificamente la disposizione relativa allo stupro, contenuta nell’art. 5, dal testo finale.
La decisione è stata presa nonostante la Svezia, nel ruolo della presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, abbia tentato di mediare un accordo che avvicinasse i Paesi membri alla ratio della Convenzione di Istanbul che ha definito la violenza di genere come violazione di diritti umani. Essa, come è noto a tutti, è stata ratificata, tra gli altri, dall’Italia nel 2013 con la legge n. 77 introducendo modifiche significative al codice penale italiano sino a giungere, fino a pochi mesi fa, ad ulteriori innesti normativi con aumento delle pene per i reati di violenza sessuale e domestica. La resistenza alla proposta ha evidenziato una profonda divisione culturale tra i Paesi dell’Europa orientale, come Polonia, Ungheria e Bulgaria, e quelli dell’Europa occidentale. E tuttavia, critiche esplicite sono state sollevate anche da Paesi come la Germania e la Francia, che hanno ritenuto che la Commissione Europea avesse superato i propri limiti propulsivi.
La controversia principale riguarda la base giuridica della proposta, con alcuni Stati membri a sostegno della tesi che non ci sia una base legale adeguata nel Trattato dell’Ue per armonizzare le leggi sullo stupro a livello europeo. L’articolo 83 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (Tfue), infatti, stabilisce le aree in cui l’Ue può definire reati e sanzioni in materia di cooperazione giudiziaria in materia penale. Questo include aree come terrorismo, tratta di esseri umani e sfruttamento sessuale dei minori, ma non specifica direttamente la violenza di genere o lo stupro. Le discussioni sull’inclusione di articoli specifici sulla violenza di genere nella legislazione dell’Ue, come l’articolo 5 relativo allo stupro, possono quindi sollevare questioni riguardo alla compatibilità con le basi giuridiche esistenti nel Trattato.
Tuttavia questa decisione, oltre a deludere molti, tra cui il Commissario per l’Uguaglianza Helena Dalli e vari gruppi femminili, contraddice apertamente la Convenzione di Istanbul che considera la violenza sessuale come un atto di penetrazione non consensuale. Il rifiuto di includere la definizione di stupro basata sulla mancanza di consenso nella Direttiva Ue rappresenta dunque un passo indietro negli sforzi per omogeneizzare la tutela legale delle donne in Europa. La base giuridica, spesso citata come ostacolo, non sembra sufficiente, infatti, per giustificare una tale esclusione, specialmente alla luce dell’ampia ratifica della Convenzione di Istanbul da parte degli Stati membri, che riconosce esplicitamente l’assenza di consenso come definizione di stupro.
Questa scelta dei governi europei non solo mina gli sforzi per standardizzare la tutela dei diritti delle donne in tutta Europa, ma rischia, anche, di perpetuare disparità nella protezione legale delle vittime di violenza di genere e di essere del tutto incoerente rispetto ad una entità, l’Ue, che si pone come avanguardia nella promozione dei diritti umani. Si sarebbe potuto argomentare, al contrario, che, sebbene l’articolo 83 del Tfue non menzioni specificamente la violenza di genere o lo stupro, la tendenza emergente nell’Ue è verso un ampliamento della nozione legale di sfruttamento, che potrebbe includere proprio lo stupro come forma di sfruttamento sessuale. Inoltre, l’inclusione di comportamenti illeciti come il matrimonio forzato in altre direttive Ue dimostra una volontà di estendere la portata della legislazione europea in materia di protezione dei diritti umani e di lotta contro la violenza. Pertanto, invece di rendere l’Ue un’istituzione regressiva approvando una cattiva Direttiva, il Parlamento dell’Ue dovrebbe piuttosto opporsi a una decisione imposta dal Consiglio Europeo e rimandare la discussione dell’intero testo, inclusa la parte sullo stupro, a dopo le elezioni del Parlamento.
Sfortunatamente stiamo attraversando una campagna per le elezioni europee dove i governi dei Paesi membri sono influenzati dai loro interessi elettorali e sono ansiosi di presentarsi agli elettori come coloro che difendono le competenze nazionali, soprattutto in materia penale, dove si gioca facile la possibilità di ottenere consenso attraverso interventi emergenziali. È anche un momento di posizioni anti-Ue latenti, o esplicite, sostenute da partiti di destra e di estrema destra. E però questo non è il momento migliore per affermare le prerogative dell’Ue facendolo sul corpo delle donne. Sebbene si intravveda una maggioranza nel nuovo Parlamento europeo più orientata a destra rispetto all’attuale, è anche vero che questioni riguardanti i diritti delle donne come lo stupro e il femminicidio non possono più essere ignorate da nessun componente dello spettro politico, principalmente da quello che della sicurezza dei cittadini e delle cittadine dichiara di farne, almeno a parole, un vessillo di parte.