di Pietro Francesco Maria De Sarlo
A Otto e Mezzo del 12 febbraio si parla della censura in Rai operata da Zia Mara ai danni di Dargen D’Amico per una banale osservazione sul ruolo degli immigrati nella economia italiana. Insomma, il galateo cosa dice? “A tavola non si fa politica, ci si può strozzare”. Idem da Zia Mara. Ma non è questo il punto. Siamo un popolo per natura incline a portare soccorso al vincitore, come diceva Bruno Barilli, citato da Ennio Flaiano che ne prese involontario merito. In Rai poi in questo sono campioni di scapicollo. E poi, con i tempi che corrono, non si vedono cambi di rotta all’orizzonte e si rischia pane e cicoria per almeno un decennio. Chi glielo fa fare?
Lilly però non gradisce e stigmatizza il clima. Ovviamente dopo aver precisato che vuole un bene dell’anima a Mara e che la saluta. Poi il coretto di Giannini e Mieli che ne ricordano la bravura e che anzi “è stata eroica dato il contesto”. Poi Bocchino, che parafrasando Fassino che invitava Grillo a fare un partito, afferma: “Se Dargen vuole parlare di politica che si iscriva a un partito”. Bene, i bar dalle Alpi alle Piramidi e dal Manzanarre al Reno sono avvisati. Si spolverino i vecchi cartelli usati quando i treni, caro lei, arrivavano in orario e che recitavano “Qui non si parla di politica” ma con la postilla Bocchino: “A meno che non si abbia la tessera di partito. Quello giusto!”
Divago, torniamo a Lilly “…non chiederò a Mariana Mazzuccato cosa avrebbe fatto la BBC in un caso simile a quello di Sanremo”. Ora con buona probabilità nessuno aveva avvisato l’economista anglo-italiana che in Italia si fanno rare domande e le risposte è meglio non darle. Poi se Lilly dice “non chiederò” un minimo di educazione avrebbe imposto la risposta “e io non risponderò”. Tutto ci si poteva aspettare tranne che Marianna invece rispondesse! E poffarbacco, anatema a lei, non per confermare il disprezzo per lo sport nazionale del salto della quaglia, qualunque sia la quaglia, ma, udite udite e signori venghino, dice: “Quello che non fa la BBC è di avere giornalisti che parlano con giornalisti. Questo lo trovo interessante come format.”
Gelo e imbarazzo e doppio anatema a Mazzuccato negli occhi dei giornalisti presenti, cioè di tutti, che balbettano frasi sconnesse e fuori contesto. Scena esilarante, vale il biglietto! Non avrei altro da aggiungere. Il sospetto che “No, non è la BBC” c’era già, e anche forte. Tutta questa compagnia di giro autoreferenziale è un fenomeno tutto italiano ed era evidente e ora, ragazzi, il Re è nudo!
Da tempo mi interrogo sulla differenza tra giornalista e propagandista. Berlusconi i secondi li chiamava agit prop, cioè agitatori politici e di chiara e ovvia matrice comunista, i primi erano sul suo libro paga. Antonio Gramsci li avrebbe definiti ‘scrittori salariati’ come quelli che “i contadini poveri” seppelliti vivi dalla nuova Italia “tentarono di infamare col marchio di briganti”.
Io, che a malapena so leggere, scrivere e far di conto da tempo vorrei dei giornalisti che mi informino sui fatti e sulle cose, lasciando a me, povero mentecatto, il farmi una opinione sulla base dei fatti veri e certificati che con fatica i giornalisti dovrebbero cercare. Per fortuna qualcuno di questi benemeriti c’è, ma fanno poca carriera. Perché mi chiedo dovrei comperare un giornale, un abbonamento per ascoltare le opinioni di Giannini o di Feltri o di chicchessia e spesso slegate da fatti e numeri reali?
E così tutto diventa un grande bar dello sport, dove spesso si cade nel ridicolo, come quando in un articolo del Corriere che riferiva di una manifestazione a Piazza Santi Apostoli dove c’erano dei clochard che piangevano la fine del governo Draghi che tanta sensibilità aveva dimostrato nei confronti della categoria. Draghi sensibile? E da quando?
Perdonate l’ardire ma una proposta voglio farla anche io: i giornalisti tornino a fare domande e lascino le risposte ai politici, come ai tempi di Jader Jacobelli.