Erano attesi 11,9 miliardi da 3 milioni di italiani. Nel Milleproroghe arriva la riapertura dei termini a beneficio di chi non ha rispettato il patto
Che le rottamazioni siano sempre un flop per le casse pubbliche la Corte dei Conti lo racconta dettagliatamente da anni, in ogni relazione sul rendiconto generale dello Stato. I governi tirano dritto e continuano a proporre nuove “paci fiscali”, con il brillante risultato di scoraggiare i contribuenti dal pagare il dovuto nei tempi previsti, indebolire l’azione di controllo dell’ente della Riscossione – trasformato in una specie di finanziaria che fa credito ai cittadini – e incassare quando va bene meno di metà del dovuto. Sta andando così, ovviamente, anche con la rottamazione quater delle cartelle sopra i 1000 euro affidate all’agente della riscossione tra 2000 e 30 giugno 2022, fortemente voluta da Matteo Salvini e inserita nella legge di Bilancio per il 2023. Non a caso, anche stavolta è già arrivata – via Milleproroghe – la riapertura dei termini a beneficio di chi non ha rispettato il patto con le Entrate.
I dati li ha forniti mercoledì, in question time, la sottosegretaria al Mef Lucia Albano. Lo scorso anno, quando i 3 milioni di italiani che hanno aderito avrebbero dovuto pagare le prime due rate, erano attesi 11,9 miliardi. Ne sono stati incassati, ha detto, 6,8. Gli altri 5,4? Sono “decaduti”: vale a dire che i contribuenti non hanno versato il 45% del dovuto, pur avendo chiesto di rateizzare godendo così dell’abbuono di interessi, sanzioni e aggio. Albano, esponente di Fratelli d’Italia, ha fatto buon viso c cattivo gioco rivendicando che quella percentuale è “nettamente inferiore rispetto a quella registrata con riferimento alle precedenti procedure di agevolazione agevolata”: 53% nella prima rottamazione, 67% nella seconda e 70% nella terza.
Ma basta dare tempo al tempo: quelli sono i tassi di decadenza delle rottamazioni del 2016, 2017 e 2018 misurati oggi. E le tabelle della magistratura contabile mostrano che il primo anno è comprensibilmente quello che porta i risultati più ricchi: dal secondo il riscosso tende invece a crollare. Così lo Stato resta con il cerino in mano, ovvero con 9,5 miliardi mai pagati a fronte di 17,7 attesi (prima rottamazione), 5,6 miliardi scomparsi su 8,9 attesi (seconda), addirittura 17,7 non versati su 26,3 preventivati (terza).
Infatti, come ha ammesso Albano riportando i dati ufficiali, sommando alle rottamazioni pure il saldo e stralcio delle cartelle sotto i 1000 euro varato nel 2019 il magazzino fiscale si è ridotto di soli 30 miliardi su un totale che oggi ha raggiunto quota 1.200. Aggiungendo anche i vari stralci (governi Conte, Draghi, Meloni) si arriva a 112 miliardi, meno del 10% dei carichi residui che compongono il magazzino. L’esecutivo, con un nuovo decreto attuativo della delega fiscale, punta ora a ridurlo prevedendo il discarico automatico dei ruoli nel quinto anno successivo a quello dell’affidamento delle quote all’agente della riscossione. Una soluzione che in passato i magistrati contabili avevano definito “una eventualità da scongiurare, che altererebbe radicalmente il sistema di gestione dei tributi fondato sull’adempimento spontaneo e nel quale la riscossione coattiva delle somme ancora dovute costituisce complemento imprescindibile“. Auspicando invece un intervento muscolare sulle procedure coattive, come i pignoramenti, oggi soggetti a molte limitazioni.