“Se il ministro dell’Interno Piantedosi ha valutato l’esistenza delle condizioni per dare una scorta all’ad della Rai Roberto Sergio, la sicurezza delle persone è sempre al primo posto, anche quando quelle persone sbagliano e sono in qualche modo la causa della loro insicurezza“. Così a Tagadà (La7) l’ex ministra Rosy Bindi commenta la decisione che ha preso il Viminale di assegnare all’ad della Rai Roberto Sergio una tutela personale per motivi di sicurezza.

Bindi difende il cantante Ghali: “L’ad Rai ha costretto una conduttrice a leggere un comunicato che stigmatizzava le parole di un ragazzo, di un giovane, di un artista, che ha fatto un’affermazione sulla quale io mi chiedo: chi si può dissociare dal no al genocidio? L’ambasciatore israeliano – continua – non può permettersi di impedire la libera espressione di una opinione e di un desiderio umanitario da parte di un giovane o di un artista. Ed è ancora più grave il fatto che il direttore generale della Rai emetta un comunicato del genere. Qua sono in gioco le libertà di espressione, sono libertà costituzionali fondamentali“.

L’ex presidente della Commissione Antimafia si esprime anche sulle contestazioni e sui tafferugli tra manifestanti e polizia davanti alle sedi Rai: “Io sento di riconoscermi in chi in questo momento protesta per la libertà di parola e per la libertà di informazione e contro l’uso della tv pubblica di questo paese asservita al potere esecutivo, in questo caso addirittura al comunicato di un ambasciatore di un paese estero. Francamente non riesco a capire il motivo per cui ci si debba comportare così”.

Bindi esprime, infine, il suo sostegno a Dargen D’Amico e alle proteste fuori dalle sedi dell’azienda pubblica: “Il cantante ha parlato dell’accoglienza dei bambini con parole, a mio avviso, assolutamente condivisibili. E anche questo è stato sanzionato. È chiaro che se si perde la caratteristica del pluralismo del servizio pubblico – conclude – si provocano anche questo tipo di manifestazioni che sicuramente devono essere pacifiche ma non si possono condannare perché manifestano un punto di vista”.

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