Il decreto Craxi di San Valentino bloccò la scala mobile: tutti i nostri guai sono cominciati lì
Se c’è una data da cui far partire la rovina dei salari in Italia, oggi documentata da tutti i centri studi internazionali e vissuta personalmente da milioni di lavoratori, essa è il 14 febbraio 1984. Allora il governo di Bettino Craxi con un decreto legge bloccò la “scala mobile”, cioè il meccanismo di aumento automatico dei salari che li adeguava rispetto all’inflazione.
Attenzione, è bene sottolineare che, a differenza di quanto poi ricordò la narrazione popolare, il decreto Craxi non abolì la scala mobile, ma labloccò. Anzi, dopo alcuni mesi di grandi lotte operaie il governo corresse il decreto e ripristinò il meccanismo di adeguamento automatico dei salari all’aumento dei prezzi. Alla fine la perdita materiale dei lavoratori fu quella di quattro punti di scala mobile bloccati, circa 25mila lire, che vennero a mancare in busta paga. E tuttavia hanno ragione coloro che attribuiscono al decreto Craxi non solo un valore immediato di intervento sulle retribuzioni, ma il significato di un cambiamento strutturale nei rapporti sociali e di classe del nostro paese.
Gli effetti politici e sociali del decreto furono largamente superiori ai suoi risultati immediati, come compresero perfettamente i lavoratori che in quei mesi scesero in piazza contro il decreto, e come affermò il segretario del Pci EnricoBerlinguer. Che con la lotta contro il decreto Craxi, tra i malumori e i dissensi dell’ala migliorista del suo partito e di gran parte dei vertici della Cgil, condusse l’ultima battaglia della sua vita.
Va detto che anche nei sostenitori del decreto ci fu sin dall’inizio una voluta doppiezza. Da un lato infatti il governo, e Cisl e Uil che concordavano con esso, sostenevano il carattere di emergenza e temporaneità del taglio alla scala mobile. Chi si opponeva veniva accusato di pretestuosità, o come minimo di esagerazione: tanto chiasso per due pizze e una coca cola, disse un sindacalista che sosteneva la misura. Tuttavia spesso dagli stessi pulpiti poi veniva sviluppata una narrazione completamente diversa. La scala mobile veniva presentata come un male in sé, perché adeguando i salari all’inflazione impediva all’inflazione stessa di rallentare. La rincorsa tra prezzi e salari doveva finire e siccome non si voleva più intervenire sui prezzi, il solo modo per fermarla era bloccare i salari.
A questi ragionamenti si aggiungevano quelli di sistema, cioè l’affermazione della centralità dell’impresa rispetto al lavoro e la necessità di ridimensionare – ‘restituire’ disse un altro dei sindacalisti favorevoli al decreto – le conquiste operaie degli anni 70. Insomma il decreto veniva vissuto e presentato come una svolta generale che oggi potremmo tranquillamente definire liberista e di restaurazione sociale anti operaia.
C’era infine anche una dimensione politica e di relazioni sindacali. Craxi e il suo governo di pentapartito usarono consapevolmente il decreto come strumento di rottura politica con il partito comunista di Berlinguer, ribadendo che si trattava di togliere al Pci quel diritto di veto sulle questioni sociali che aveva maturato già dalla fine degli anni 60. Lo stesso discorso veniva fatto sul piano delle relazioni sindacali, si trattava anche qui di ridimensionare il ruolo della Cgil nel sistema contrattuale e togliere anche ad essa il diritto di veto. Infatti subito prima del decreto Craxi c’era stato l’accordo separato tra Cisl, Uil, Confindustria e governo per tagliare la scala mobile. Dopo, il governo aveva trasformato quell’accordo tra le parti in un decreto legge dello Stato, con un atto chiaramente lesivo della libertà contrattuale, che avrebbe aperto un precedente gravissimo in tutto il sistema delle relazioni sindacali. Il liberismo nelle relazioni sociali iniziava con un intervento dall’alto del potere dello stato, che istituzionalizzava la contrattazione facendola diventare legge dello stato.
Per queste ragioni una parte rilevante del mondo del lavoro e soprattutto gli operai delle grandi aziende industriali afferrarono subito la dimensione politica e di potere del decreto e rifiutarono il punto di vista suggerito da Cisl e Uil: è un accordo di emergenza particolare, poi tutto tornerà a posto come prima.
Già il giorno dopo il 14 febbraio iniziarono nelle grandi fabbriche scioperi spontanei di massa. Alla testa della mobilitazione c’erano i consigli dei delegati, ultimo frutto già in crisi, ma ancora operativo, del sindacalismo unitario dell’autunno caldo. I consigli di fabbrica assunsero una nuova vita e un nuovo protagonismo dopo un periodo di appannamento della loro iniziativa, seguito alla sconfitta subita alla Fiat nel 1980. In molte città industriali i consigli di fabbrica si autoconvocarono, cioè senza nessuna promozione ufficiale da parte dei sindacati, convocarono assemblee di lavoratori con grandissima partecipazione. Ai primi di marzo a Milano si svolse un’assemblea di oltre 5000 delegati di tutti luoghi di lavoro completamente autoconvocata.
Questa ripresa di protagonismo operaio veniva chiaramente sostenuta dal Pci berlingueriano e da una parte della Cgil, però non era riconducibile ad essi. In quel movimento erano presenti militanti di tutte le organizzati sindacali, anche di quelle che sostenevano il decreto. Purtroppo quel movimento dal basso, che avrebbe potuto rinnovare tutto il sindacato, fu subito osteggiato dai gruppi dirigenti di Cisl e Uil e non adeguatamente sostenuto da quelli della Cgil. In quest’ultima organizzazione pesava profondamente la paura della rottura con la componente socialista, che si era pubblicamente schierata con il governo contro il suo stesso sindacato. E poi il leader comunista dell’organizzazione, Luciano Lama, era profondamente legato ai miglioristi e ne condivideva tutte le critiche al radicalismo dell’ ultimo Berlinguer.
Insomma anche la Cgil, che pure aveva rifiutato il decreto e chiamato alla mobilitazione contro di esso, fino ad una enorme manifestazione di sabato a Roma il 24 marzo 1984, aveva scelto di non andare allo scontro frontale, e infatti non proclamò mai uno sciopero nazionale. Tutti gli scioperi che per due mesi fermarono il paese, in una dimensione di lotta come oggi abbiamo visto in Francia, erano proclamati dai consigli e dalle assemblee dei delegati. Un gigantesco movimento di lotta, che avrebbe potuto fermare o almeno davvero condizionare la svolta liberista in atto nelle politiche economiche e sociali del paese, fu lasciato spegnersi. Morto Berlinguer nel giugno del 1984, nel Pci prevalse rapidamente la politica della corrente migliorista e la Cgil tornò subito all’ovile con Cisl e Uil. Tanto è vero che nell’anno successivo, quando contro il decreto fu svolto il referendum che Berlinguer aveva voluto, l’impegno del Pci fu scarso mentre la Cgil proclamò formalmente la sua neutralità, con Cisl e Uil impegnate attivamente contro.
Come sappiamo la scala mobile fu progressivamente ridimensionata con successivi accordi sindacali e infine del tutto soppressa, sempre con il consenso di Cgil Cisl e Uil, dal governo di Giuliano Amato nel 1992. Da allora i salari italiani non si sono più ripresi, perché la perdita della scala mobile ha voluto dire il venir meno di un elemento fondamentale della retribuzione, senza che nulla fosse messo al suo posto. Che una tutela automatica dei salari dall’inflazione sia necessaria lo ha riconosciuto lo stesso ultimo contratto dei lavoratori dell’auto degli Usa, che ha ripristinato la scala mobile.
Aveva completamente ragione chi allora lottò contro il decreto Craxi, perché sentiva che era l’avvio della resa dei conti e della restaurazione, rispetto a tutte le conquiste sociali del quindicennio precedente. Forse esagerando, perché in realtà le premesse erano già state poste dalle politiche di austerità dei precedenti governi di unità nazionale, oggi tanti pensionati, lavoratori di allora, sostengono: tutti i nostri guai sono cominciati lì, dal decreto di San Valentino. E non solo i guai dei salari, ma anche quelli della democrazia.
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La Redazione
Amsterdam, 3 feb. –(Adnkronos) - E' nell'ottica di una semplificazione "in linea con i cambiamenti comunicati" a dicembre al momento dell'uscita di Carlos Tavares, la riorganizzazione annunciata questa mattina da Stellantis. Un 'aggiornamento' che rafforza il ruolo delle singole regioni, accorpa ingegneria e software, rilancia su qualità e marketing e vede l'uscita di scena di alcuni top manager. Decisioni - si spiega in una nota - che "consentono il giusto equilibrio tra responsabilità regionali e globali, facilitando la rapidità delle scelte e la loro esecuzione" e "rafforzano ulteriormente l’impegno di Stellantis nell’ascoltare i propri clienti" ponendo "le basi per una rinnovata crescita".
A livello di management, Linda Jackson lascia il gruppo e al vertice del brand Peugeot è sostituita da Alain Favey. Abbandona anche Yves Bonnefont, Chief Software Office, visto che "le attività software sono ora integrate in un’organizzazione di sviluppo e tecnologia del prodotto guidata da Ned Curic allo scopo di semplificare il processo di immissione sul mercato di prodotti e servizi innovativi per tutti i brand in tutti i mercati in cui l’azienda è presente". Nuovo responsabile anche per Jeep, con la nomina di Bob Broderdorf, dal momento che Antonio Filosa - che mantiene il suo attuale ruolo di COO delle Regioni d’America - assume la leadership globale dell’ente Quality, definito "fulcro della promessa dell’azienda ai clienti".
Nuovo capo anche per DS, dal momento che Olivier François - che mantiene la responsabilità di Fiat e Abarth - guiderà un nuovo Marketing Office, per seguire meglio le attività di promozione dei singoli brand e "supportarli al meglio, in particolare attraverso la pubblicità, gli eventi globali e le sponsorizzazioni". Gli enti Corporate Affairs e Communications sono stati uniti sotto la guida di Clara Ingen-Housz e Anne Abboud è stata nominata alla guida dell’unità veicoli commerciali di Stellantis Pro One.
Come sottolinea il Chairman di Stellantis John Elkann "gli annunci di oggi semplificheranno ulteriormente la nostra organizzazione e aumenteranno la nostra agilità e il rigore dell’esecuzione a livello locale. Non vediamo l’ora di guidare la crescita fornendo ai nostri clienti una scelta ancora più ampia di straordinari veicoli a combustione, ibridi ed elettrici”. Confermata la linea sul processo di nomina del nuovo Chief Executive Officer che "è in corso, gestito da un Comitato Speciale del Consiglio d’Amministrazione, e si concluderà entro la prima metà del 2025".
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Siamo vicini ad Antonio Tajani, alla sua famiglia e soprattutto a suo figlio Filippo, vittima di un malore durante una partita di calcio. Gli auguriamo una pronta guarigione, e che possa tornare presto in campo”. Lo dichiarano i capigruppo della Lega alla Camera e al Senato, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Esprimo il mio più profondo riconoscimento alla Brigata Sassari per il coraggio, la dedizione e l’alto senso del dovere dimostrato durante tutta la missione Unifil. Ringrazio il generale Messina, con il quale sono sempre rimasta in contatto per essere costantemente informata sullo stato del contingente. I nostri soldati hanno affrontato sfide complesse e delicate, portando avanti il nome dell’Italia con grande professionalità. Il loro impegno ha garantito la stabilità in una regione così fragile, e sono fiera di come abbiano rappresentato la nostra Nazione". Lo ha affermato la deputata di Fratelli d'Italia Barbara Polo, componente della commissione Difesa, al rientro del contingente della Brigata Sassari.
"Da sarda, -ha aggiunto- non posso che essere estremamente orgogliosa nel vedere i miei concittadini impegnati con tanto valore nelle operazioni internazionali. La Brigata Sassari è il fiore all’occhiello del nostro esercito, una realtà che continua a distinguersi per preparazione e coraggio”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Ci mancavano i sedicenti comitati civici che spalleggiano gli occupanti abusivi di immobili a rendere sempre più invivibile il quartiere Esquilino, uno dei più belli di Roma da tempo in mano ad immigrati clandestini e bande criminali. Ne ha fatto le spese un bravo giornalista come Luca Telese aggredito per aver difeso i presidi di legalità che dopo le denunce della Lega le istituzioni stanno predisponendo. Telese chiamato ad un’assemblea pubblica da un sedicente Polo Civico ha avuto l'ardire di affermare che cancellate di protezione dei luoghi di socialità non sono poi da demonizzare. Per difendere la possibilità di vivere in pace e nella legalità all'Esquilino di Roma, come in tutte le periferie d'Italia, è necessario che venga subito definitivamente approvato il ddl sicurezza”. Lo afferma il deputato della Lega ed ex magistrato Simonetta Matone.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Nella loro foga alla ricerca del complotto, di qualcuno su cui scaricare le proprie responsabilità, di uno spauracchio a cui assegnare colpe per nascondere le inadeguatezze del governo Meloni, i colleghi di Fratelli d’Italia hanno nuovamente toccato inesplorate vette di contraddizione. L’ultimo attacco frontale è stato riservato a Gimbe e al suo presidente Cartabellotta, colpevole di aver detto con dati inequivocabili che il decreto dell’Esecutivo sulle liste d’attesa è fermo al palo e che solo uno dei sei decreti attuativi è stato già approvato". Lo afferma Andrea Quartini, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Affari sociali della Camera e coordinatore del Comitato politico salute e inclusione sociale del M5S.
"Oltre a usare parole estremamente gravi nei confronti di chi porta avanti con serietà e professionalità un preziosissimo lavoro scientifico a tutela della sanità, il senatore Zaffini -aggiunge l'esponente pentastellato- ha però di fatto confermato i ritardi denunciati da Cartabellotta, sebbene secondo lui siano in realtà tempi record. Una contraddizione decisamente bizzarra. E nel frattempo, i medici di medicina generale operano come meglio credono e la proposta di Forza Italia in merito è ancora ben lontana dal concretizzarsi".
"Al presidente Cartabellotta -conclude Quartini- va tutta la mia solidarietà, visto che ultimamente è stato identificato come avversario politico, alla stregua di una forza di opposizione, come persino Bruno Vespa aveva avuto l’indecenza di dire. Questo attacco scomposto, in ogni caso, non fa che confermare la linea di questa maggioranza: è sempre colpa degli altri. Dai magistrati, a coloro che distribuiscono la benzina, fino a Gimbe”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Il nemico del giorno del governo è la Fondazione Gimbe e in particolare il suo presidente Nino Cartabellotta, accusato da esponenti di maggioranza di essere un bugiardo che falsifica i dati perché ‘cavalier servente’ e comunista. Affermazioni di una gravità inaudita contro un organismo indipendente e autorevole come Gimbe, che fa un grande lavoro di raccolta e verifica dei dati sanitari. La colpa di Cartabellotta? Aver fatto notare che a sei mesi dall’approvazione del decreto liste d’attesa mancano ancora cinque dei sei decreti attuativi, cosa tra l’altro confermata dalla stessa maggioranza". Lo afferma Mariolina Castellone, senatrice M5S e vicepresidente del Senato.
"Ancora una volta, questa destra cerca di trasferire su altri le colpe della propria incapacità e si produce in un costante bullismo contro professionisti che fanno il proprio lavoro, cercando di intimorirli. Per fortuna -conclude l'esponente pentastellata- ci sono i numeri a parlare e a smentire la propaganda di governo. E ci siamo noi a tutelare le voci libere e indipendenti”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Quello delle liste di attesa è un tema che riguarda non solo la salute ma anche la dignità della persona. Un tema che richiede senso di responsabilità e che non riscontro nelle dichiarazioni sparate a raffica da esponenti di Pd, 5 stelle e sinistra. Gli stessi che ci hanno consegnato un Servizio sanitario nazionale allo sfascio e per il quale ci stiamo adoperando per rimetterlo in sesto. Il collega Cartabellotta e la Fondazione Gimbe meritano rispetto, in quanto sono giustificati per la mancata conoscenza del lavoro che il Governo ha messo in campo sui decreti attuativi. Non posso al contrario giustificare i colleghi senatori che siedono nella commissione Sanità del Senato presieduta dal presidente Zaffini o i presidenti di Regione che prendono parte alla Conferenza Stato-Regioni". Lo afferma il senatore Ignazio Zullo, capogruppo di Fratelli d'Italia in commissione Sanità in Senato.
"Se non sanno -aggiunge- devo purtroppo arguire che dormono mentre se, come penso, sanno e attaccano il presidente Zaffini, che ha solo voluto puntualizzare il lavoro del Governo in risposta alle valutazioni della Fondazione Gimbe, è grave perché si tratta di un comportamento in grave mala fede. Si può anche non conoscere quanto si stia facendo sul tema, ma il senso di responsabilità vuole che prima di sparare a salve ci si informi e ci si documenti . In questo modo si prenderebbe facilmente atto che quanto annunciato dalla Fondazione Gimbe non è proprio puntuale perché -e lo ha spiegato bene il presidente Zaffini- la situazione riguardo ai decreti attuativi è la seguente: Criteri di funzionamento della piattaforma nazionale e regionali delle liste d’attesa: Il decreto è stato trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni. In attesa del parere della Conferenza Stato Regioni alla quale è stato inviato il 13 settembre 2024".
"Funzionamento della piattaforma nazionale di monitoraggio in coerenza con il modello di classificazione e stratificazione della popolazione, risulta ‘fatto’. Poteri sostitutivi del ministero della Salute in caso di inottemperanza delle Regioni e il rispetto agli obiettivi della legge: decreto trasmesso in Conferenza Stato-Regioni il 6 novembre 2024. Linee di indirizzo per l’attivazione dei sistemi di disdetta da parte dei Cup: il decreto è in fase di definizione da attuare con il Piano nazionale delle liste d’attesa in lavorazione predisposto dalla Direzione generale della Programmazione sanitaria già condiviso con Regioni e Mef. Metodologia per la definizione del fabbisogno di personale del Ssn (superamento tetti di spesa): il decreto è in via di ultimazione. Il Piano di azione per rafforzare i servizi sanitari e sociosanitari (nelle Regioni del Sud destinatarie dei fondi del Piano nazionale Equità e salute): decreto trasmesso alla conferenza Stato-Regioni il giorno 8 gennaio 2025".
"In questo confronto tra Zaffini e i nostri avversari politici -conclude Zullo- si può cogliere la differenza tra noi e loro: noi lavoriamo per mettere riparo agli sfasci che ci hanno lasciato in eredità, loro non sanno andare oltre l’irresponsabile e deleteria polemica sterile, dannosa dell’immagine del nostro Servizio sanitario nazionale”.
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Giorgio Cremaschi
Sindacalista
Lavoro & Precari - 14 Febbraio 2024
Il decreto Craxi di San Valentino bloccò la scala mobile: tutti i nostri guai sono cominciati lì
Se c’è una data da cui far partire la rovina dei salari in Italia, oggi documentata da tutti i centri studi internazionali e vissuta personalmente da milioni di lavoratori, essa è il 14 febbraio 1984. Allora il governo di Bettino Craxi con un decreto legge bloccò la “scala mobile”, cioè il meccanismo di aumento automatico dei salari che li adeguava rispetto all’inflazione.
Attenzione, è bene sottolineare che, a differenza di quanto poi ricordò la narrazione popolare, il decreto Craxi non abolì la scala mobile, ma la bloccò. Anzi, dopo alcuni mesi di grandi lotte operaie il governo corresse il decreto e ripristinò il meccanismo di adeguamento automatico dei salari all’aumento dei prezzi. Alla fine la perdita materiale dei lavoratori fu quella di quattro punti di scala mobile bloccati, circa 25mila lire, che vennero a mancare in busta paga. E tuttavia hanno ragione coloro che attribuiscono al decreto Craxi non solo un valore immediato di intervento sulle retribuzioni, ma il significato di un cambiamento strutturale nei rapporti sociali e di classe del nostro paese.
Gli effetti politici e sociali del decreto furono largamente superiori ai suoi risultati immediati, come compresero perfettamente i lavoratori che in quei mesi scesero in piazza contro il decreto, e come affermò il segretario del Pci Enrico Berlinguer. Che con la lotta contro il decreto Craxi, tra i malumori e i dissensi dell’ala migliorista del suo partito e di gran parte dei vertici della Cgil, condusse l’ultima battaglia della sua vita.
Va detto che anche nei sostenitori del decreto ci fu sin dall’inizio una voluta doppiezza. Da un lato infatti il governo, e Cisl e Uil che concordavano con esso, sostenevano il carattere di emergenza e temporaneità del taglio alla scala mobile. Chi si opponeva veniva accusato di pretestuosità, o come minimo di esagerazione: tanto chiasso per due pizze e una coca cola, disse un sindacalista che sosteneva la misura. Tuttavia spesso dagli stessi pulpiti poi veniva sviluppata una narrazione completamente diversa. La scala mobile veniva presentata come un male in sé, perché adeguando i salari all’inflazione impediva all’inflazione stessa di rallentare. La rincorsa tra prezzi e salari doveva finire e siccome non si voleva più intervenire sui prezzi, il solo modo per fermarla era bloccare i salari.
A questi ragionamenti si aggiungevano quelli di sistema, cioè l’affermazione della centralità dell’impresa rispetto al lavoro e la necessità di ridimensionare – ‘restituire’ disse un altro dei sindacalisti favorevoli al decreto – le conquiste operaie degli anni 70. Insomma il decreto veniva vissuto e presentato come una svolta generale che oggi potremmo tranquillamente definire liberista e di restaurazione sociale anti operaia.
C’era infine anche una dimensione politica e di relazioni sindacali. Craxi e il suo governo di pentapartito usarono consapevolmente il decreto come strumento di rottura politica con il partito comunista di Berlinguer, ribadendo che si trattava di togliere al Pci quel diritto di veto sulle questioni sociali che aveva maturato già dalla fine degli anni 60. Lo stesso discorso veniva fatto sul piano delle relazioni sindacali, si trattava anche qui di ridimensionare il ruolo della Cgil nel sistema contrattuale e togliere anche ad essa il diritto di veto. Infatti subito prima del decreto Craxi c’era stato l’accordo separato tra Cisl, Uil, Confindustria e governo per tagliare la scala mobile. Dopo, il governo aveva trasformato quell’accordo tra le parti in un decreto legge dello Stato, con un atto chiaramente lesivo della libertà contrattuale, che avrebbe aperto un precedente gravissimo in tutto il sistema delle relazioni sindacali. Il liberismo nelle relazioni sociali iniziava con un intervento dall’alto del potere dello stato, che istituzionalizzava la contrattazione facendola diventare legge dello stato.
Per queste ragioni una parte rilevante del mondo del lavoro e soprattutto gli operai delle grandi aziende industriali afferrarono subito la dimensione politica e di potere del decreto e rifiutarono il punto di vista suggerito da Cisl e Uil: è un accordo di emergenza particolare, poi tutto tornerà a posto come prima.
Già il giorno dopo il 14 febbraio iniziarono nelle grandi fabbriche scioperi spontanei di massa. Alla testa della mobilitazione c’erano i consigli dei delegati, ultimo frutto già in crisi, ma ancora operativo, del sindacalismo unitario dell’autunno caldo. I consigli di fabbrica assunsero una nuova vita e un nuovo protagonismo dopo un periodo di appannamento della loro iniziativa, seguito alla sconfitta subita alla Fiat nel 1980. In molte città industriali i consigli di fabbrica si autoconvocarono, cioè senza nessuna promozione ufficiale da parte dei sindacati, convocarono assemblee di lavoratori con grandissima partecipazione. Ai primi di marzo a Milano si svolse un’assemblea di oltre 5000 delegati di tutti luoghi di lavoro completamente autoconvocata.
Questa ripresa di protagonismo operaio veniva chiaramente sostenuta dal Pci berlingueriano e da una parte della Cgil, però non era riconducibile ad essi. In quel movimento erano presenti militanti di tutte le organizzati sindacali, anche di quelle che sostenevano il decreto. Purtroppo quel movimento dal basso, che avrebbe potuto rinnovare tutto il sindacato, fu subito osteggiato dai gruppi dirigenti di Cisl e Uil e non adeguatamente sostenuto da quelli della Cgil. In quest’ultima organizzazione pesava profondamente la paura della rottura con la componente socialista, che si era pubblicamente schierata con il governo contro il suo stesso sindacato. E poi il leader comunista dell’organizzazione, Luciano Lama, era profondamente legato ai miglioristi e ne condivideva tutte le critiche al radicalismo dell’ ultimo Berlinguer.
Insomma anche la Cgil, che pure aveva rifiutato il decreto e chiamato alla mobilitazione contro di esso, fino ad una enorme manifestazione di sabato a Roma il 24 marzo 1984, aveva scelto di non andare allo scontro frontale, e infatti non proclamò mai uno sciopero nazionale. Tutti gli scioperi che per due mesi fermarono il paese, in una dimensione di lotta come oggi abbiamo visto in Francia, erano proclamati dai consigli e dalle assemblee dei delegati. Un gigantesco movimento di lotta, che avrebbe potuto fermare o almeno davvero condizionare la svolta liberista in atto nelle politiche economiche e sociali del paese, fu lasciato spegnersi. Morto Berlinguer nel giugno del 1984, nel Pci prevalse rapidamente la politica della corrente migliorista e la Cgil tornò subito all’ovile con Cisl e Uil. Tanto è vero che nell’anno successivo, quando contro il decreto fu svolto il referendum che Berlinguer aveva voluto, l’impegno del Pci fu scarso mentre la Cgil proclamò formalmente la sua neutralità, con Cisl e Uil impegnate attivamente contro.
Come sappiamo la scala mobile fu progressivamente ridimensionata con successivi accordi sindacali e infine del tutto soppressa, sempre con il consenso di Cgil Cisl e Uil, dal governo di Giuliano Amato nel 1992. Da allora i salari italiani non si sono più ripresi, perché la perdita della scala mobile ha voluto dire il venir meno di un elemento fondamentale della retribuzione, senza che nulla fosse messo al suo posto. Che una tutela automatica dei salari dall’inflazione sia necessaria lo ha riconosciuto lo stesso ultimo contratto dei lavoratori dell’auto degli Usa, che ha ripristinato la scala mobile.
Aveva completamente ragione chi allora lottò contro il decreto Craxi, perché sentiva che era l’avvio della resa dei conti e della restaurazione, rispetto a tutte le conquiste sociali del quindicennio precedente. Forse esagerando, perché in realtà le premesse erano già state poste dalle politiche di austerità dei precedenti governi di unità nazionale, oggi tanti pensionati, lavoratori di allora, sostengono: tutti i nostri guai sono cominciati lì, dal decreto di San Valentino. E non solo i guai dei salari, ma anche quelli della democrazia.
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Amsterdam, 3 feb. –(Adnkronos) - E' nell'ottica di una semplificazione "in linea con i cambiamenti comunicati" a dicembre al momento dell'uscita di Carlos Tavares, la riorganizzazione annunciata questa mattina da Stellantis. Un 'aggiornamento' che rafforza il ruolo delle singole regioni, accorpa ingegneria e software, rilancia su qualità e marketing e vede l'uscita di scena di alcuni top manager. Decisioni - si spiega in una nota - che "consentono il giusto equilibrio tra responsabilità regionali e globali, facilitando la rapidità delle scelte e la loro esecuzione" e "rafforzano ulteriormente l’impegno di Stellantis nell’ascoltare i propri clienti" ponendo "le basi per una rinnovata crescita".
A livello di management, Linda Jackson lascia il gruppo e al vertice del brand Peugeot è sostituita da Alain Favey. Abbandona anche Yves Bonnefont, Chief Software Office, visto che "le attività software sono ora integrate in un’organizzazione di sviluppo e tecnologia del prodotto guidata da Ned Curic allo scopo di semplificare il processo di immissione sul mercato di prodotti e servizi innovativi per tutti i brand in tutti i mercati in cui l’azienda è presente". Nuovo responsabile anche per Jeep, con la nomina di Bob Broderdorf, dal momento che Antonio Filosa - che mantiene il suo attuale ruolo di COO delle Regioni d’America - assume la leadership globale dell’ente Quality, definito "fulcro della promessa dell’azienda ai clienti".
Nuovo capo anche per DS, dal momento che Olivier François - che mantiene la responsabilità di Fiat e Abarth - guiderà un nuovo Marketing Office, per seguire meglio le attività di promozione dei singoli brand e "supportarli al meglio, in particolare attraverso la pubblicità, gli eventi globali e le sponsorizzazioni". Gli enti Corporate Affairs e Communications sono stati uniti sotto la guida di Clara Ingen-Housz e Anne Abboud è stata nominata alla guida dell’unità veicoli commerciali di Stellantis Pro One.
Come sottolinea il Chairman di Stellantis John Elkann "gli annunci di oggi semplificheranno ulteriormente la nostra organizzazione e aumenteranno la nostra agilità e il rigore dell’esecuzione a livello locale. Non vediamo l’ora di guidare la crescita fornendo ai nostri clienti una scelta ancora più ampia di straordinari veicoli a combustione, ibridi ed elettrici”. Confermata la linea sul processo di nomina del nuovo Chief Executive Officer che "è in corso, gestito da un Comitato Speciale del Consiglio d’Amministrazione, e si concluderà entro la prima metà del 2025".
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Siamo vicini ad Antonio Tajani, alla sua famiglia e soprattutto a suo figlio Filippo, vittima di un malore durante una partita di calcio. Gli auguriamo una pronta guarigione, e che possa tornare presto in campo”. Lo dichiarano i capigruppo della Lega alla Camera e al Senato, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Esprimo il mio più profondo riconoscimento alla Brigata Sassari per il coraggio, la dedizione e l’alto senso del dovere dimostrato durante tutta la missione Unifil. Ringrazio il generale Messina, con il quale sono sempre rimasta in contatto per essere costantemente informata sullo stato del contingente. I nostri soldati hanno affrontato sfide complesse e delicate, portando avanti il nome dell’Italia con grande professionalità. Il loro impegno ha garantito la stabilità in una regione così fragile, e sono fiera di come abbiano rappresentato la nostra Nazione". Lo ha affermato la deputata di Fratelli d'Italia Barbara Polo, componente della commissione Difesa, al rientro del contingente della Brigata Sassari.
"Da sarda, -ha aggiunto- non posso che essere estremamente orgogliosa nel vedere i miei concittadini impegnati con tanto valore nelle operazioni internazionali. La Brigata Sassari è il fiore all’occhiello del nostro esercito, una realtà che continua a distinguersi per preparazione e coraggio”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Ci mancavano i sedicenti comitati civici che spalleggiano gli occupanti abusivi di immobili a rendere sempre più invivibile il quartiere Esquilino, uno dei più belli di Roma da tempo in mano ad immigrati clandestini e bande criminali. Ne ha fatto le spese un bravo giornalista come Luca Telese aggredito per aver difeso i presidi di legalità che dopo le denunce della Lega le istituzioni stanno predisponendo. Telese chiamato ad un’assemblea pubblica da un sedicente Polo Civico ha avuto l'ardire di affermare che cancellate di protezione dei luoghi di socialità non sono poi da demonizzare. Per difendere la possibilità di vivere in pace e nella legalità all'Esquilino di Roma, come in tutte le periferie d'Italia, è necessario che venga subito definitivamente approvato il ddl sicurezza”. Lo afferma il deputato della Lega ed ex magistrato Simonetta Matone.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Nella loro foga alla ricerca del complotto, di qualcuno su cui scaricare le proprie responsabilità, di uno spauracchio a cui assegnare colpe per nascondere le inadeguatezze del governo Meloni, i colleghi di Fratelli d’Italia hanno nuovamente toccato inesplorate vette di contraddizione. L’ultimo attacco frontale è stato riservato a Gimbe e al suo presidente Cartabellotta, colpevole di aver detto con dati inequivocabili che il decreto dell’Esecutivo sulle liste d’attesa è fermo al palo e che solo uno dei sei decreti attuativi è stato già approvato". Lo afferma Andrea Quartini, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Affari sociali della Camera e coordinatore del Comitato politico salute e inclusione sociale del M5S.
"Oltre a usare parole estremamente gravi nei confronti di chi porta avanti con serietà e professionalità un preziosissimo lavoro scientifico a tutela della sanità, il senatore Zaffini -aggiunge l'esponente pentastellato- ha però di fatto confermato i ritardi denunciati da Cartabellotta, sebbene secondo lui siano in realtà tempi record. Una contraddizione decisamente bizzarra. E nel frattempo, i medici di medicina generale operano come meglio credono e la proposta di Forza Italia in merito è ancora ben lontana dal concretizzarsi".
"Al presidente Cartabellotta -conclude Quartini- va tutta la mia solidarietà, visto che ultimamente è stato identificato come avversario politico, alla stregua di una forza di opposizione, come persino Bruno Vespa aveva avuto l’indecenza di dire. Questo attacco scomposto, in ogni caso, non fa che confermare la linea di questa maggioranza: è sempre colpa degli altri. Dai magistrati, a coloro che distribuiscono la benzina, fino a Gimbe”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Il nemico del giorno del governo è la Fondazione Gimbe e in particolare il suo presidente Nino Cartabellotta, accusato da esponenti di maggioranza di essere un bugiardo che falsifica i dati perché ‘cavalier servente’ e comunista. Affermazioni di una gravità inaudita contro un organismo indipendente e autorevole come Gimbe, che fa un grande lavoro di raccolta e verifica dei dati sanitari. La colpa di Cartabellotta? Aver fatto notare che a sei mesi dall’approvazione del decreto liste d’attesa mancano ancora cinque dei sei decreti attuativi, cosa tra l’altro confermata dalla stessa maggioranza". Lo afferma Mariolina Castellone, senatrice M5S e vicepresidente del Senato.
"Ancora una volta, questa destra cerca di trasferire su altri le colpe della propria incapacità e si produce in un costante bullismo contro professionisti che fanno il proprio lavoro, cercando di intimorirli. Per fortuna -conclude l'esponente pentastellata- ci sono i numeri a parlare e a smentire la propaganda di governo. E ci siamo noi a tutelare le voci libere e indipendenti”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Quello delle liste di attesa è un tema che riguarda non solo la salute ma anche la dignità della persona. Un tema che richiede senso di responsabilità e che non riscontro nelle dichiarazioni sparate a raffica da esponenti di Pd, 5 stelle e sinistra. Gli stessi che ci hanno consegnato un Servizio sanitario nazionale allo sfascio e per il quale ci stiamo adoperando per rimetterlo in sesto. Il collega Cartabellotta e la Fondazione Gimbe meritano rispetto, in quanto sono giustificati per la mancata conoscenza del lavoro che il Governo ha messo in campo sui decreti attuativi. Non posso al contrario giustificare i colleghi senatori che siedono nella commissione Sanità del Senato presieduta dal presidente Zaffini o i presidenti di Regione che prendono parte alla Conferenza Stato-Regioni". Lo afferma il senatore Ignazio Zullo, capogruppo di Fratelli d'Italia in commissione Sanità in Senato.
"Se non sanno -aggiunge- devo purtroppo arguire che dormono mentre se, come penso, sanno e attaccano il presidente Zaffini, che ha solo voluto puntualizzare il lavoro del Governo in risposta alle valutazioni della Fondazione Gimbe, è grave perché si tratta di un comportamento in grave mala fede. Si può anche non conoscere quanto si stia facendo sul tema, ma il senso di responsabilità vuole che prima di sparare a salve ci si informi e ci si documenti . In questo modo si prenderebbe facilmente atto che quanto annunciato dalla Fondazione Gimbe non è proprio puntuale perché -e lo ha spiegato bene il presidente Zaffini- la situazione riguardo ai decreti attuativi è la seguente: Criteri di funzionamento della piattaforma nazionale e regionali delle liste d’attesa: Il decreto è stato trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni. In attesa del parere della Conferenza Stato Regioni alla quale è stato inviato il 13 settembre 2024".
"Funzionamento della piattaforma nazionale di monitoraggio in coerenza con il modello di classificazione e stratificazione della popolazione, risulta ‘fatto’. Poteri sostitutivi del ministero della Salute in caso di inottemperanza delle Regioni e il rispetto agli obiettivi della legge: decreto trasmesso in Conferenza Stato-Regioni il 6 novembre 2024. Linee di indirizzo per l’attivazione dei sistemi di disdetta da parte dei Cup: il decreto è in fase di definizione da attuare con il Piano nazionale delle liste d’attesa in lavorazione predisposto dalla Direzione generale della Programmazione sanitaria già condiviso con Regioni e Mef. Metodologia per la definizione del fabbisogno di personale del Ssn (superamento tetti di spesa): il decreto è in via di ultimazione. Il Piano di azione per rafforzare i servizi sanitari e sociosanitari (nelle Regioni del Sud destinatarie dei fondi del Piano nazionale Equità e salute): decreto trasmesso alla conferenza Stato-Regioni il giorno 8 gennaio 2025".
"In questo confronto tra Zaffini e i nostri avversari politici -conclude Zullo- si può cogliere la differenza tra noi e loro: noi lavoriamo per mettere riparo agli sfasci che ci hanno lasciato in eredità, loro non sanno andare oltre l’irresponsabile e deleteria polemica sterile, dannosa dell’immagine del nostro Servizio sanitario nazionale”.