Dalla città di Stalowa Wola, nel voivodato della Precarpazia polacca, alla periferia di Plovdiv nella Bulgaria meridionale. Da nord a sud dell’est Europa. È su questa traccia geografica che si forgia il nuovo spirito hooligans della Curva nord dell’Inter. Quello, per capirci, andato in scena tra il 4 e il 5 febbraio scorsi con oltre 150 incappucciati, armati di manganelli e bombe carte, che, dopo la partita Inter-Juventus, hanno dato l’assalto prima ai pullman dei tifosi bianconeri e poi alle forze dell’ordine, ferendo diversi agenti. Risultato: 2 arresti e 48 Daspo. Dalla Polonia alla Bulgaria. Sul filo nazionalista che caratterizza i gruppi ultras delle squadre dello Stalowa e del Botev. Razzismo, teste rasate, nostalgie naziste, tatuaggi che rievocano l’ortodossia della chiesa bulgara, fight-club nei boschi e naturalmente scontri, ripresi ed esibiti sui social. Da un lato i polacchi del gruppo Stalowka The Firm, dall’altro la yellow-black power dei Bultras bulgari. Entrambi hooligans, non semplici ultras. E se i secondi erano presenti al secondo anello durante Inter-Juve e poi in mezzo alla guerriglia, i primi, più volte, hanno ospitato membri del direttivo della Nord e assieme hanno partecipato a scontri nei boschi con ultras rivali.
Insomma, per la Curva Nord non solo affari e legami pericolosi con la ‘ndrangheta della cosca Bellocco. In questo caso le parole dei protagonisti valgono più di cento discorsi sociologici. Frasi messe agli atti dalla Procura di Milano nell’indagine nata dopo la morte dell’ultras nerazzurro Dede Belardinelli prima di Inter-Napoli durante la guerriglia del 26 dicembre 2018. Ecco allora discutere Andrea Beretta, uno dei capi della Nord, con Ivan Luraschi, già nel primo direttivo guidato da Vittorio Boiocchi (poi ucciso il 29 ottobre 2022), e nome storico del tifo organizzato nerazzurro. È nei loro discorsi al momento non penalmente rilevanti, scrivono gli inquirenti, che vengono “gettate le basi per la costituzione di un gruppo di uomini disposti e, soprattutto, capaci di affrontare scontri fisici ogni qual volta ciò si renda necessario a mani nude o con eventuali armi bianche”. Un manipolo vieppiù addestrato nei fightclub di periferia o nelle palestre del Corvetto, e attivo anche in blitz armati nei confronti di squadre che giocano in Serie D, visto il controllo della Nord nel tifo organizzato del Seregno attraverso l’ex gruppo Spartans fondato da Beretta. Spiega Luraschi: “La Curva Nord può produrre 70 hooligans! Vediamo quando 70 hooligans meneranno poi in strada (…). È l’ultimo step (…) andiamo in battaglia! La logica nostra è che mettiamo in campo una squadra che parte insieme si muove insieme, la logica nostra è costruire una curva compatta: andiamo insieme, le prendiamo e le diamo insieme e torniamo indietro insieme. Li metti in strada, poi vedrai cambia tutto!”. Beretta è d’accordo: “Va bene dai! Va bene proviamo!”. Poi aggiunge: “Io capisco la distinzione tra Boys, Viking, Irriducibili fra parentesi Hammer, ognuno è libero di andare nel gruppo che vuole se si trova bene di là. Ma quando siamo in giro, stiamo tutti insieme” perché “noi non siamo una democrazia. Noi comandiamo e decidiamo noi”.
Il discorso nasce e si struttura dopo che il 10 dicembre 2019, prima di Inter-Barcellona 60 hooligans catalani si sono avvicinati pericolosamente al Baretto di San Siro, ritrovo della Curva Nord. Se avessero sfondato, gli interisti sarebbero stati travolti. Da qui il ragionamento per creare “un gruppo scontri”, un manipolo di gente addestrata per fare questo, non certo per tifare o sostenere la squadra. L’ordine, dunque, è armarsi. Ne parla sempre Beretta con un altro membro della curva: “Poi io vorrei dei tubi di gomma per quando siamo in casa”. L’altro: “A torce, bombe e fumogeni ci penso io, devi sempre avere uno o due zaini”. Beretta: “Fai un borsone con una trentina di bandierine, quelle col Pvc”. Il capo della Nord illustra poi tecniche da guerriglia urbana. Scrivono gli inquirenti: “Beretta dice che oltre all’allenamento e allo schieramento, devono anche munirsi di torce e fumogeni per oscurare eventuali telecamere in modo tale da non essere riconosciuti durante questi ipotetici scontri”.
Le armi vanno bene, ma poi ci vuole tecnica nel “corpo a corpo”. Da allenare in palestra o nei fightclub di cui Luraschi, secondo gli inquirenti, è esperto avendoli già allestiti quando era “responsabile del gruppo ultras che sostiene la locale compagine di Hockey su ghiaccio”. E che Beretta sia l’artefice dell’addestramento lo spiega lui stesso: “Per forza che devi fare addestramento, se no si cagano addosso, se non gli fai vedere si cagano addosso”. La conferma arriva da uno dei nuovi soldati che prima ha qualche dubbio: “Non sono pronto tecnicamente, io ti parlo di come parare di come coprirmi”. Dubbi totalmente fugati dopo i primi addestramenti: “Minchia è stato bellissimo, è stato bellissimo, ho preso i pugni in faccia ma è stato bello bello! Oggi mi sono proprio divertito e adesso se creiamo entusiasmo così vedrai che la prossima volta verrà più gente”. Agli incontri in una palestra del Corvetto partecipano come supervisori altri capi del direttivo, come Renato Bosetti, detto Renatone: “Cosa pensi che io mi metta a fare a pugni (…). Io ti do due coltellate. È per valutare i ragazzi, non pensino che mi metto a fare lo scemo con i guantoni”. Arruolati nel “gruppo scontri” così ci finiscono ultras, ma anche criminali legati ai narcos, esponenti di primo piano del neo-fascismo milanese. Gli stessi che sono in grado in una giornata di scontrarsi nel campo di Serie D del Brusaporto (Bergamo) e poi fuori dal Meazza prima di un derby. A Bergamo ci arrivano per vendicare un vecchio agguato degli ultras atalantini. Scriveranno i carabinieri: “Un gruppo di circa 10 persone faceva accesso all’interno del campo da calcio con in mano alcuni fumogeni, colpiva a calci, pugni e spintoni alcune persone ivi presenti e successivamente esplodeva tre bombe carta, una delle quali, lanciata a breve distanza da due militari, quindi si dileguava verso il parcheggio adiacente lasciando perdere le proprie tracce”. Un vero blitz militare. Come quelli imparati dai gemelli polacchi dello Stal Stalowa Wola nei boschi della Precarpazia. Di una delle trasferte ne parla Beretta con un rappresentate milanese del partito di estrema destra Forza nuova preoccupato della possibilità di scontri nei boschi. “Che cazzo mi porto?”. Beretta: “Ti porti un cambio. Andiamo a vedere una partita con loro, punto. Basta”. L’altro: “Ma i boschi e i prati?”. Beretta: “Tranquillo! Andiamo a vedere una partita con loro, io mi porto i guanti e le solite robe, magari…”.