E pure un premio Nobel come Abdulrazak Gurnah (tanto di cappello) farà visita al Salone
Tutto cambia perché nulla cambi. Sulla scia di Il Gattopardo benvenuto Salone del Libro 2024, uguale a quello del ’23, del ’22, del ’18, del ’12 ecc… Un anno fa dal centrosinistra venne sollevato un polverone attorno alla nuova nomina di Annalena Benini come direttrice editoriale del Salone del Libro di Torino, in presunta quota centrodestra, che nemmeno nelle trincee del Piave. Quando invece il Salone, presentato ieri al Teatro Regio di Torino, come contenuti, come personalità, come narrazione del mercato letterario attuale, è la copia carbone degli anni precedenti. Francesco Piccolo che presenta Paolo Sorrentino. Luciana Littizzetto (e Gianni Morandi) che presentano gli scritti di Marcello Marchesi. Alessandro Piperno che dialoga con Domenico Starnone. Melania Mazzucco che presenterà Alexandra Lapierre. L’editrice Teresa Cremisi che dialogherà con l’omologo Antoine Gallimard. Francesco Costa con Jill Abramson. Erin Doom si confronterà con un omologo caso editoriale di massa, questa volta argentino, ma sempre caso editoriale di massa. E pure un premio Nobel come Abdulrazak Gurnah (tanto di cappello) farà visita al Salone.
Tutto cambia, insomma, perché nulla cambi. Così si arrabbieranno quelli di destra. Chissà, ma non lo crediamo. Magari valuteremo con compasso e squadra i perimetri degli spazi e la quantità di slot per gli incontri con editori e autori e titoli “non allineati” che già all’ultimo giro 2023 del direttore Nicola Lagioia erano stati inseriti a furor di popolo e pure con un certo seguito. Chissà. Eppure andrebbe capito, diciamo oltre la cagnara informativa dello scontro dicotomico creato in provetta (leggasi nomine legate ai partiti), che il mercato editoriale è quello; e che ci sia la destra, la sinistra, il centro, quello che conta sono amicizie e salotti, protégé e camarille, vicinanze personali piuttosto che lontananze tra sconosciuti. Del resto Benini pubblica i suoi libri con lo stesso editore (Einaudi) di Lagioia: perché dovrebbe mai inventarsi fantomatiche prese di potere modello palazzo d’inverno? È il mercato bellezza/e/u, diceva qualcuno. E questo ai primi piani del Salone fa da metronomo per chi sta dentro (quasi tutti), chi sta un po’ di lato (pochi), e chi sta fuori (quasi nessuno). Poi, appunto, rileveremo i dettagli. Tre incontri in più di un editore meno allineato e tre in meno di quello da gauche caviar. Qualche personalità politica in più di quella che governa regione Piemonte e governo del Paese; qualche personalità politica in meno tra chi non governa regione Piemonte e governo del paese. Sempre che all’ultimo istante non scoppi qualche caso clamoroso di esclusione (anche se poi gli editori per avere uno spazio basta che paghino). Chissà.
Intanto rileviamo, così sulla carta, che il fil rouge Benini, a livello tematico, evidenzia con uno Stabilo Boss rosa flash il cordone ombelicale della letteratura al femminile (qui destra e sinistra, checché se ne dica, c’entrano poco) che si arrotola attorno al titolo La vita immaginaria e che mette in fila, of course, Natalia Ginzburg (pallino, anzi ossessione beniniana), le Cime tempestose di Emily Bronte e nientemeno che la lezione inaugurale del Salone di Elizabeth Strout: donna sì, ma da milioni di copie vendute nel mondo. “Tutte le tematiche sensibili verranno affrontate con al centro la letteratura e quel che succede grazie al lavoro della redazione del Salone. Con la vocazione, il desiderio e l’intenzione di creare luoghi d’incontro e mai di scontro”, ha risposto Benini ad una domanda di una giornalista de La Stampa che ha evocato libri a tema guerra in Ucraina o sullo spinosissimo affaire Gaza. Insomma, a breve capiremo se il “pluralismo” e la “libertà” garantite con elegante naturalezza ci saranno. A occhio, gattopardianamente, ci pare di sì.