È stato un San Valentino pieno di uscite in sala, e siccome l’amore vale sempre, ne parliamo oggi e non ieri. Ma iniziamo con il meno amoroso dei titoli, e soprattutto meno amorevole verso il pubblico e verso il cinema in genere. Per i suoi 100 anni di gloriosa attività l’amatissima major Columbia Pictures (Quel che resta del giorno, Tootsie, Taxi Driver, Dottor Stranamore, Fronte del porto e altri capolavori così) ci regala un cinecomic tragicamente malfatto. Madame Web di S. J. Clarkson avrebbe pure l’ambizione ad agganciarsi all’universo Spider-Man, l’unico narrativamente sensato in area Sony, ma dimostra goffaggine da vendere anche lì. Già Morbius e Venom si erano rivelati filmotti edulcorati che mai hanno osato spingere sull’aspetto dark invocato dai fumetti, che invece restano pregevolissimi quanto a idee e drammaturgie.
Dakota Johnson nel ruolo della protagonista scoprirà poteri derivati da un raro ragno tropicale, sarà così alle prese con visioni profetiche e tre ragazze, future Spider-Girls (non Spice, mi raccomando), che dovrà salvare e tenere a bada da svarioni ormonali, cibo spazzatura e un cattivone che le vuole morte. Era un’occasione per narrare qualcosa per avvicinare più spettatrici millenial e adolescenti a questo nuovo tassello Marvel Universe, peccato invece che una sceneggiatura gravida di errori e ingenuità più una regia priva di senso ambientata in un 2003 dubbiamente ricostruito gettino alle ortiche qualsiasi buon proposito. Peccato anche per il francese Tahar Rahim, poteva essere un grande villain il suo, ma si rivela solo uno spreco attoriale. Bisognerebbe amare un po’ di più i cinecomic per farli bene. Non solo per contratti e diritti di sfruttamento, e non solo a San Valentino. Altrimenti tanto vale produrre altro. Al primo giorno di programmazione italiana è terzo con 158mila euro, ma il flop internazionale potrebbe essere dietro l’angolo.
Con La natura dell’amore entriamo invece in una zona romantica, appassionata e perigliosa. Siamo in Quebec e una quarantenne insegnante di filosofia scopre un uomo diametralmente opposto al suo compagno. Eppure la passione bruciante le farà mettere in discussione la sua relazione stabile di ben 10 anni. La regista Monia Chakri prosegue il suo percorso di esplorazione femminile mettendo a confronto non solo gli amanti in questione, ma i loro mondi attraverso i percorsi del desiderio. Sarà così una continua scoperta osservare come la famiglia e gli amici di un uomo non esattamente di cultura si confronteranno con una donna sofisticata. E come il mondo di lei accoglierà lui, e lui quel mondo. Il pastiche non si rivela come scontato cliché tra mondi confliggenti, ma gioca le sue carte con attenzione e molta onestà intellettuale assegnando il giusto peso anche all’elemento passione, al sesso, vero jolly capace di scardinare, come poi accade nella realtà, qualsiasi diversità culturale fino a mimetizzarsi con il vero amore. Film ideale per un San Valentino di fuoco, sì, ma pure sul filo del rasoio se lo vedrete in coppia. Maneggiare con cura.
Invece con Past Lives torniamo salla A24 per un’altra sua stupefacente creatura. 5 candidature ai Golden Globes e 2 agli Oscar per questo viaggio nel tempo di un ragazzo e una ragazza coreani separati dal trasferimento di lei negli Usa. Si procede per decenni, la struttura dei tanti ritorni nel tempo ricorda vagamente il nostro Dieci inverni di Valerio Mieli. Le vite cambiano, evolvono, ma il legame dei due protagonisti resta forte e intimo. Questo film mostra squisita delicatezza, cerebrale il giusto, e sempre pacato nella sua rappresentazione delle affinità elettive. Si onora il passato dei protagonisti quanto il presente dell’amore per un marito testimone del nuovo incontro tra i due ex-ragazzini. Una piccola grande lezione di intelligenza emotiva quella di Celine Song. Quest’autrice alla sua prima regia ci convince con profondità e gentilezza.
Non solo la sua gestione delle temperature attoriali percorre vette alte quanto equilibrate, ma il suo sguardo cinematografico così assoluto trova sempre combinazioni d’immagini originalissime. Specchiando la sua idea di metropoli in inquadrature riflesse da vetri o pozzanghere riesce a valorizzare la città tra solitudine, speranza, incontro e nostalgia. Metropoli non come gabbia per cuori erranti, ma come mondo pronto a schiudersi al passaggio di due anime vicine anche se portate dalla vita in continenti diversi. Un bonario avviso agli spettatori e alle spettatrici più sensibili che andranno a vederlo: attenzione, tra qualche anno potrebbe diventare un futuro cult da gelato, divano e fazzoletti lacrimosi. Ma intanto vivetevelo su grande schermo. A proposito, a grande sorpresa, nell’uscita di S. Valentino si è piazzato primo al nostro box office con 239mila euro incassati. Insomma, dopo Perfect Days di Wenders Lucky Red continua ad andar forte con il cinema d’Asia.
In ultimo una chicca d’amore per la musica, un’anteprima intitolata Bob Marley: One Love di Reinaldo Marcus Green. Esce il 22 febbraio ma vale la pena parlarvene fin d’ora perché quella di Marley è una storia d’amore totale che attraverso la musica ha abbracciato generazioni e latitudini con un messaggio di pace universale. Nel primo biopic su quest’icona che definì il reggae in una filosofia di vita vediamo alle prese con il rastafaria Kingsley Ben-Adir, già visto ultimamente come uno dei Ken nel Barbie di Greta Gerwig e come villain in una serie Marvel. La moglie Rita invece, ha il volto di Lashana Lynch. Nel cast figurano anche James Norton e Michael Gandolfini. Il primo nei fa il producer inglese Chris Blackwell, il secondo, figlio del compianto James, nei panni dell’autore Howard Bloom. Prodotto dalla stessa Rita Marley, dai figli Cedella, Ziggy e sua moglie Orly Marley, e da un certo Brad Pitt, One Love parte dal 1976, anno bollente per la Giamaica di Bob già famoso con i suoi Wailers. Ma da lì, dal suo viaggio a Londra dopo l’attentato subito in casa iniziò l’esportazione del mito.
La famiglia numerosa piena di figli, la composizione in studio con la band di Exodus, l’impegno politico nel portare pace con la musica, il sogno del concerto in Africa, genialità e genesi del sound, le partite a pallone nei parchi londinesi e vicino la Senna, ma soprattutto la relazione complessa con una moglie altrettanto carismatica fanno di questo film un po’ patinato una piccola perla per iniziare a raccontare Marley sul grande schermo. Era ora. Buona visione.