Ciò che adesso può fare il pm in autonomia, con un semplice decreto motivato, domani richiederà due successive autorizzazioni del gip e nel mezzo una sorta di “udienza stralcio“, una lunga procedura con la partecipazione di avvocati e consulenti di parte. Così, per acquisire uno smartphone e copiare il suo contenuto – procedura che al momento si completa anche in un giorno – domani servirà come minimo una settimana. Ecco la riforma del sequestro dei cellulari annunciata dal governo (e già anticipata a gennaio dal Fatto), contenuta in un emendamento al disegno di legge sullo stesso tema, che giace da mesi in Commissione Giustizia al Senato. Giovedì, infatti, mentre il Guardasigilli Carlo Nordio presentava la stretta su giornali e radio, il relatore Sergio Rastrelli di FdI depositava una proposta di modifica al testo, sintesi, dice al Fatto, di “continue interlocuzioni” con l’esecutivo e con i proponenti, la senatrice leghista Giulia Bongiorno e l’azzurro Pierantonio Zanettin.
Al codice di procedura penale verrebbe aggiunto un nuovo articolo 254-ter, che disciplina il “Sequestro di dispositivi e sistemi informatici o telematici“. Ecco cosa prevede in sintesi: per acquisire uno smartphone o un pc, il pm deve chiedere l’autorizzazione al gip, che dispone il sequestro “con decreto motivato” solo quando è “necessario per la prosecuzione delle indagini, nel rispetto del criterio di proporzione”. Poi, “entro cinque giorni dal deposito del verbale di sequestro”, il pm “avvisa la persona sottoposta alle indagini, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, la persona offesa dal reato e i relativi difensori, del giorno, dell’ora e del luogo fissati per il conferimento dell’incarico per la duplicazione del contenuto” del dispositivo – la cosiddetta “clonazione” o “copia forense” – “e della facoltà di nominare consulenti tecnici”. Allo “svolgimento delle operazioni di duplicazione” – che deve tenersi entro dieci giorni dall’avviso – potranno quindi partecipare sia i difensori che i consulenti di tutti i soggetti citati: potenzialmente decine di persone, ognuno di loro potrà formulare “osservazioni e riserve“. Non è finita qui, però: una volta effettuata la clonazione, se il pm vuole sequestrare “dati inerenti a comunicazioni, conversazioni o corrispondenza informatica inviate e ricevute”, deve chiederlo di nuovo al gip, che autorizza solo quando l’acquisizione è “assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini”. Entrambi i provvedimenti del giudice – quello per il sequestro del dispositivo e quello per il sequestro delle chat – sono impugnabili di fronte al Tribunale del Riesame e poi in Cassazione.
Annunciando l’intervento su Radio 24, Nordio si è scagliato contro la magistratura inquirente: “In un cellulare c’è una vita intera e questa non può essere messa nella mani di un pm che poi con una firma se ne impossessa e magari dopo non vigila abbastanza sulla sua divulgazione”, ha detto. Parole stigmatizzate dall’Associazione nazionale magistrati: “Colpisce che, per intervenire in materia di sequestro di cellulari e intercettazioni, si dipinga in modo indiscriminato il pubblico ministero come una figura oscura, fuori controllo, che si impossessa dei dati e non vigila sulla loro divulgazione. È una continua opera di delegittimazione della figura del pm, che si vuole a tutti i costi rappresentare come estranea alla cultura della giurisdizione. E l’unico effetto sarà di privarlo delle garanzie di autonomia e indipendenza previste dalla Costituzione e di sottoporlo alla influenza del potere politico, a danno dei cittadini”, dice all’Ansa la vicepresidente del sindacato delle toghe, la giudice del Tribunale di Napoli Alessandra Maddalena. Critico anche Giovanni “Ciccio” Zaccaro, giudice in Corte d’Appello a Roma e segretario della corrente progressista di Area: “Capisco la tutela della privacy ma si deve avere più fiducia negli investigatori e nei magistrati; vogliono solo fare il loro lavoro usando le tecnologie più avanzate, non vogliono frugare nella vita intima dei cittadini. Invece con le nuove norme si prevedono altri adempimenti e termini stringenti, che rischiano di allungare i tempi delle indagini e vanificarne gli esiti”, dichiara.
Per Stefano Musolino, procuratore aggiunto di Reggio Calabria e segretario dell’altra corrente progressista, Magistratura democratica, il doppio passaggio dal gip è una “disposizione barocca” della quale “non si intende la ragione, salvo quella di mettere sempre più intralci all’efficacia e celerità delle indagini, specie quelle più complesse. Si tratta di procedure ampollose che rischiano di fare disperdere materiale informatico archiviato in cloud, senza che da ciò derivi una migliore tutela per i soggetti coinvolti, ma solo ulteriori impacci per gli investigatori”, denuncia. Infine, si onerano ancora di maggiori compiti gli uffici gip su cui era già stato scaricato (con effetti realmente garantisti pari a zero) l’onere di controllo sulle acquisizioni dei tabulati, con la previsione futura di prevedere un gip collegiale per le misure cautelari” (contenuta nel ddl Nordio approvato dal Senato). Insomma, chiosa Musolino, “continuano riforme che sono lontanissime dalle reali esigenze della giustizia, ma che continuano a gravare il sistema giuridiziario di oneri e orpelli che alimentano un procedimento sempre più tortuoso e complesso, a tutela di diritti che potevano essere ugualmente garantiti, senza pregiudizio per la celerità e l’efficienza delle indagini”.