La puntuale e approfondita fotografia sul trasporto ferroviario, scattata come ogni anno da Legambiente, ribadisce i gravi limiti del trasporto ferroviario regionale nel nostro Paese. I maggiori talloni d’Achille del sistema, per Legambiente, sono i ritardi infrastrutturali, la lentezza nella riattivazione delle linee ferroviarie interrotte e le risorse inadeguate. Aumenta il divario per offerta di servizi e qualità dei treni tra il Nord e il Mezzogiorno (ma se Atene piange Sparta non ride). Questa in sintesi la denuncia di Legambiente nel nuovo rapporto Pendolaria 2024 sul trasporto su ferro in Italia. In generale è troppo lenta la transizione ecologica del trasporto su ferro.

Il numero di pendolari è ancora troppo basso rispetto alle best practices europee. Va aggiunto che i pendolari del centro nord cominciano ad avere, oltre ai soliti problemi (cancellazioni, ritardi, treni vecchi e spesso sporchi), anche quelli derivanti dal conflitto con i transiti dei treni ad Alta velocità nei nodi di Torino, Milano, Bologna, Firenze, Roma e Napoli. Tutto ciò porta a criticità di entrambi i servizi. Eppure da anni quasi tutte le forze politiche e i vari governi, sia nazionali che regionali, stanno puntando (solo a parole) sulla “cura del ferro”. Due esempi di come funziona la “cura del ferro” di qualche giorno fa. Sulla linea Brescia-Parma i passeggeri si sono visti spostare la stazione di partenza per eccesso di ritardo del treno in arrivo da Brescia. A Parma l’avviso audio ha gelato tutti i pendolari, spiegando che lo stesso treno sarebbe partito da Colorno (l’ultima stazione a 15 km prima della destinazione finale), a causa dell’eccessivo ritardo accumulato dal treno in arrivo da Brescia. Sulla Sassari-Cagliari l’ultimo treno è arrivato all’una di notte con 90 minuti di ritardo. La stazione era già chiusa e i passeggeri hanno dovuto sfondare le finestre e saltarle per poter tornare a casa.

Il volume di risorse erogato al sistema ferroviario, dal punto di vista infrastrutturale (spesa in conto capitale), si conferma elevato. Minore invece è il volume della spesa corrente trasferita da Stato e Regioni a Trenitalia e ad altre compagnie ferroviarie. Va precisato che i costi di realizzazione delle infrastrutture ferroviarie sono doppi e qualche volta tripli, a parità di infrastrutture, con altri paesi europei. Con la stessa spesa si costruisce meno e in tempi più lunghi. Stessa cosa vale per i costi di produzione dei servizi (km/treno). Sembra quindi inarrestabile il declino delle FS, nonostante l’azienda sia stata messa fuori dalla “gabbia contrattuale” dell’Ente pubblico economico per inserirsi in un altro alveo giuridico privatistico di spa pubblica (libera di muoversi senza controlli ma garantita dai sussidi statali e regionali).

Erano state alzate le retribuzioni dei dipendenti, si è ridotta però la responsabilità sulla spesa evitando in questo modo il “controllo” pubblico, sul versante degli investimenti delle forniture di beni e servizi. Ad ogni “generoso” esodo, incentivato per ridurre l’enorme numero di addetti assunto negli anni ’70 e ’80 con politiche clientelari, si perdevano professionalità che non venivano sostituite da incrementi tecnologici, da efficaci riorganizzazioni aziendali e piani formativi. Aumentavano le esternalizzazioni e gli acquisti di beni e servizi, aprendo una nuova strada alle commistioni politiche e ad imprese prive di esperienza ferroviaria (in particolare sulla manutenzione della rete, non solo).

I costi delle migliaia di ferrovieri esodati si sono spostati dalle casse delle FS a quelle dell’Inps per alleggerire surrettiziamente i bilanci. La drastica riduzione di addetti non ha aumentato la produttività e la qualità dei servizi offerti dalle aziende del gruppo FS. Le conseguenti riorganizzazioni aziendali sono state una ghiotta occasione per promuovere nuovi “dirigenti”. Da almeno 10 anni si parla della “cura del ferro” che, più che un piano con precisi obiettivi da raggiungere, incremento dei passeggeri e delle merci trasportate, è stata solo un auspicio “green” e una giustificazione per ogni investimento senza alcuna valutazione costi-benefici che lascia liberi tutti di proporre qualsiasi investimento. Non si sono neppure raggiunti modesti risultati (rispetto alla pur consistente spesa) ambientali.

E’ l’inerzia di questo sistema (organizzazione e gestione) ferroviario che invece va “curata”. La struttura deresponsabilizzata delle FS (con una pletorica catena di comando, ci vuole un processo per sapere chi doveva decidere la sostituzione del giunto di Pioltello), se vuole avere un futuro nella transizione ecologica e nel rilancio del trasporto pubblico, va rivoltata come un calzino. Vanno introdotti elementi di concorrenza e spazzata via l’incrostazione consociativa e corporativa che pervade l’azienda. In nessuna regione italiana (quella emiliano-romagnola è stata una concentrazione di operatori e unici partecipanti) si sono fatte le gare per l’affidamento dei servizi locali, mentre in Europa le gare sono state un successo. Qualità, meno costi e stesso trattamento normativo e salariale per i ferrovieri. Ciò andava fatto prima di avviare l’enorme piano d’investimenti ferroviari previsto dal Pnrr che al momento sta provocando solo danni. Cantieri aperti più della capacità di investimento, tempi lunghi di realizzazione, chiusura di intere linee, rallentamenti.

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