Perché Aragon oggi? Forse perché si sente di nuovo in giro odore di guerra, e ce ne eravamo dimenticati… Poi perché, con l’amico Éluard, Louis Aragon (1897-1982) è stato forse l’ultimo poeta di lingua francese a cantare l’amore, l’amour fou (per non citare il terzo compare André Breton), e a saperlo fare in rime – arte di cui a tutt’oggi rimane a parer mio, e non solo, il “miglior fabbro”. Non a caso, come molti sanno, i suoi testi sono stati musicati e cantati (un po’ troppo magari, da Ferré a Ferrat a Francesca Solleville o Barbara), alcuni anche, insieme con le prose, filmati (La rose et le réséda). E poi, perché egli ha attraversato quasi tutta la tragedia del Novecento, con guerre fascismi e movimenti artistici vari (Da dada al surrealismo, 1917-1931 appunto), e impegno politico in prima persona, compreso quello armato durante la Resistenza. Prese le distanze dallo stalinismo con notevole ritardo, certo da non dimenticare, come se una certa fedeltà (e la critica ufficiale di “dissidenti” quali Trotzki) lo avesse accecato almeno fino al 1966 e ai processi di Mosca; e infine durante il maggio del ’68 a Parigi con “la condanna delle nostre illusioni perpetue”. Le compromissioni con alcuni potenti del suo tempo, dentro e fuori del Palazzo, non dovrebbero occultare comunque il magistero poetico e il valore della sua arte insieme colta, lirica, comunicativa e abitata sempre da una profondamente sentita dimensione sociale.
J.-C.V.
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Acrobate
Bras en sang Gai comme les sainfoins
L’hyperbole retombe Les mains
Les oiseaux sont des nombres
L’algèbre est dans les arbres
C’est Rousseau qui peignit sur la portée du ciel
Cette musique à vocalises
Cent À Cent pour la vie
Qui tatoue
Je fais la roue sur les remparts.
(Feu de joie, 1920)
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Acrobata
Braccia insanguinate Felice come le lupinelle
L’iperbole ricade Le mani
Gli uccelli sono numeri
L’algebra è negli alberi
Fu Rousseau a dipingere sul pentagramma del cielo
Questa musica da vocalizzi
Cento A Cento per la vita
Che tatua
Faccio la ruota sui bastioni
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C
Attraversai i ponti di C
e tutto cominciò da lì
Una canzone di tempi antichi
parla d’un cavalier ferito
D’una rosa sull’acciottolato
d’una camicetta slacciata
Del castello di un duca insensato
e dei suoi cigni nei fossati
Del prato dove viene danzante
una sempre promessa amante
E come un latte diaccio ho sorbito
lunghi lais di glorie basite
La Loira porta via le pensate
con le vetture rovesciate
E l’armamento disinnescato
e le lacrime mal celate
O Francia mia senza un buondì
traversai i ponti di C.
(Les yeux d’Elsa, 1942)
– Ponts-de-Cé è una cittadina sulla Loira, dove l’esercito francese in rotta passò nel giugno 1940.
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Non ci sono amori felici
Nulla mai è scontato, né la forza,
né debolezza o cuore, e quando credi
di aprir le braccia è l’ombra d’una croce,
quando stringi la tua gioia la stritoli.
La tua vita è uno strano dolente divorzio,
non ci sono amori felici.
La vita è quasi di soldati inermi
preparati già a un altro destino:
cosa serve che s’alzino al mattino
se sono a sera sfaccendati, incerti?
Ridillo, vita mia, e trattieni le lacrime,
non ci sono amori felici.
Mio bello amore, amore caro, strazio,
ti porto in me come uccello ferito,
gente che non sa ci vede passare,
ripetendo versi da me intrecciati
e da subito morti per i tuoi grandi occhi:
non ci sono amori felici.
Per imparare a vivere è già tardi:
piangano nella notte i cuori unisoni,
quanta pena ci vuole per un canto,
quanti rimorsi a ripagare un brivido,
quanti singhiozzi per un’aria di chitarra!
Non ci sono amori felici.
Non c’è amore se non sofferenza,
non c’è amore senza ferimento,
amore non c’è senza appassimento,
e non solo tuo: l’amor patrio stesso,
non c’è amore che non viva delle lacrime.
Non ci sono amori felici,
ma sono i nostri amori, dici.
Poesia del 1943 (‘La Diane française’, 1944)