Slitta ancora il decreto di attuazione della revisione del Pnrr, in cui il governo deve individuare le coperture per gli investimenti oggetto di rimodulazione e per i progetti definanziati. Non ce n’è traccia nemmeno nell’ordine del giorno del cdm convocato per giovedì pomeriggio. Arriverà “entro marzo”, ha detto il ministro Raffaele Fitto. Ma la situazione sta diventando imbarazzante, considerato che a dicembre lo stesso titolare degli Affari europei ne aveva annunciato l’arrivo “i primi giorni di gennaio”. Il provvedimento è cruciale per consentire alle amministrazioni di procedere con i lavori ed è atteso con urgenza soprattutto dagli enti locali. Costretti finora a pagare le imprese, al momento dell’avvio dei lavori, con soldi propri. Perché l’anticipo che arriva dallo Stato si ferma di solito al 10%: troppo poco per dare respiro ai magri bilanci dei Comuni. Stando alle bozze, nel decreto sarà previsto un aumento strutturale delle anticipazioni al 30%.
I tempi, dunque. Dopo settimane di trattative tra Fitto e il titolare dell’Economia Giancarlo Giorgetti, la meta sembra più vicina. L’individuazione delle coperture necessarie sarebbe quasi completa: i nuovi investimenti saranno fatti partire con fondi di coesione e del Piano nazionale complementare, le opere comunali entrate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza ma antecedenti torneranno ad essere finanziate come era previsto inizialmente. Ma restano in bilico altri interventi per un valore di 3 miliardi, tra cui i Piani urbani integrati per migliorare le periferie delle città metropolitane. Che rischiano di uscire di scena definitivamente nonostante in molti casi siano già stati fatti i bandi e i fondi siano impegnati. Di qui l’ulteriore rinvio, con l’obiettivo di cercare di salvare almeno i progetti ormai a buon punto.
La lunga attesa però fa penare i Comuni, che fin dall’avvio del piano sono stretti tra le richieste delle aziende – che di norma hanno bisogno di ricevere all’avvio del contratto il 20-30% del valore previsto – e i mini anticipi concessi dall’amministrazione centrale. Il decreto Pnrr dello scorso anno ha accorciato l’iter per richiedere al Mef un anticipo più elevato (ora possono farlo direttamente i soggetti attuatori, senza passare dall’amministrazione centrale titolare dell’intervento), ma non ha risolto il problema di fondo. Che è insormontabile per gli enti più piccoli, sotto i 5mila abitanti. “Dover anticipare è assurdo: nessuno ha avanzi di amministrazione tali da consentirgli di andare avanti così”, spiega Franca Biglio, presidente dell’Associazione nazionale piccoli Comuni italiani. “Quindi siamo costretti a ricorrere alle anticipazioni di cassa attraverso le banche, pagando gli interessi passivi. Ma anche quei finanziamenti hanno un limite ben preciso: non possono superare i cinque dodicesimi delle entrate comunali proprie”.
Il risultato è presto detto: “Va a finire che molti rinunciano ai bandi Pnrr perché, tra carenza di soldi e personale ed eccessi di burocrazia, non ce la fanno”. Il tutto, tra l’altro, mentre i “piccolissimi” sono anche alle prese con un taglio dei contributi a fondo perduto che ricevono dal 2020 per la messa in sicurezza del patrimonio pubblico e l’efficientamento energetico: dai poco meno di 84mila euro dello scorso anno sono scesi a 58mila causa riduzione delle risorse stanziate in legge di Bilancio. Una sforbiciata “ingiustificata e inopportuna” per l’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani, che chiede al Parlamento di intervenire.
In compenso Fitto è passato a più miti consigli riguardo alle multe che fino a qualche mese fa intendeva comminare agli amministratori locali rei di non aver raggiunto gli obiettivi: avrebbero dovuto contribuire a pagare il recupero degli importi percepiti da Bruxelles, aveva detto. Ipotesi irricevibile per il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, che aveva avvertito: “Non mi sembra una norma ispirata a quei principi di fiducia reciproca su cui dovrebbe basarsi il lavoro comune di un Paese”. Dopo le polemiche sullo stralcio dei progetti comunali dal Pnrr, il governo ha evidentemente deciso di non andare allo scontro. L’ultima versione del decreto si limita a prevedere commissariamenti per chi è in ritardo.