di Roberto Iannuzzi *
La decisione del presidente ucraino Volodymyr Zelensky di sostituire il comandante dell’esercito, generale Valery Zaluzhny, non è stata accolta favorevolmente da gran parte della stampa e dei think tank occidentali che finora lo avevano sostenuto. L’Economist ha scritto che Zelensky rischia di aver fatto la scelta sbagliata. Il Times di Londra ha riferito che i soldati ucraini sarebbero furiosi per il passo compiuto dal presidente. Secondo l’Atlantic Council, uno dei think tank Usa che più hanno sponsorizzato l’impegno americano al fianco di Kiev, la decisione di Zelensky è giunta in un momento particolarmente inappropriato, vista l’offensiva russa in corso su più fronti. E in futuro il presidente potrebbe essere chiamato a risponderne personalmente.
Scegliendo di licenziare Zaluzhny, il presidente ucraino è andato contro il comune sentire della sua stessa popolazione. Secondo un recente sondaggio, il 72% degli ucraini era contrario all’allontanamento del comandante.
Washington ha ufficialmente definito la rimozione di Zaluzhny “un affare interno” ucraino. Ma a fine gennaio, quando ormai era evidente l’intenzione di Zelensky di liquidare il generale, Victoria Nuland, responsabile delle politiche ucraine dell’amministrazione Biden, era volata a Kiev in un ultimo disperato tentativo di “smorzare” i contrasti fra i due. Sebbene il rapporto si fosse incrinato per la crescente divergenza di interessi fra due uomini ugualmente ambiziosi, lo spartiacque è rappresentato dal fallimento dell’offensiva della scorsa estate. Propagandata sia a Kiev che a Washington come la possibile svolta del conflitto che avrebbe permesso all’Ucraina di strappare ai russi i territori perduti, essa ebbe un esito disastroso. Malgrado il rimpallo di responsabilità non solo a Kiev, ma anche fra il Pentagono e i vertici militari ucraini, la verità era semplicemente che l’esercito ucraino non aveva gli uomini né la potenza di fuoco per sfondare le linee russe pesantemente fortificate.
Le tensioni fra Zelensky e Zaluzhny erano divenute pubbliche quando, alla fine dello scorso anno, quest’ultimo aveva rilasciato un’intervista all’Economist nella quale sosteneva che la guerra aveva raggiunto una “fase di stallo”. In una dura risposta, il presidente ucraino aveva sostenuto che le affermazioni di Zaluzhny rappresentavano “un aiuto all’aggressore” e rischiavano di diffondere il panico fra gli alleati occidentali di Kiev.
Più recentemente, i due si erano scontrati sull’esigenza di una nuova campagna di reclutamento di massa fra la popolazione per soddisfare il fabbisogno di un esercito in cronica carenza di uomini a causa delle ingenti perdite subite. Aggiungendo la (finora) mancata approvazione del pacchetto di aiuti militari da parte del Congresso Usa, l’esercito ucraino viene a trovarsi in una grave scarsità di uomini ed armi. E’ in questa difficile situazione, mentre i russi premono a Kupiansk nell’oblast di Kharkiv, e puntano alla definitiva conquista di Avdiivka in quello di Donetsk, che Zelensky ha designato il generale Oleksandr Syrsky, comandante delle forze di terra, come successore di Zaluzhny.
La figura di Syrsky incarna un altro paradosso del conflitto russo-ucraino. Egli è infatti russo di nascita e di formazione, e i suoi genitori vivono tuttora nella Russia centrale. Cinquantottenne, Syrsky ha una grande esperienza militare, ma è anche una figura divisiva nell’esercito. Stimato in Ucraina per la difesa di Kiev nel febbraio-marzo 2022, e per la controffensiva che (al prezzo di ingenti perdite) portò alla ritirata dei russi dalla regione di Kharkiv fra l’estate e l’autunno dello stesso anno, egli fu anche responsabile dell’insensata difesa a oltranza di Bakhmut (fortemente voluta dal presidente contro il parere di Zaluzhny e degli Usa) che falcidiò le file dell’esercito ucraino.
A Bakhmut Syrsky si è guadagnato la poco invidiabile reputazione di comandante incline a compiere avanzate dal valore puramente tattico anche al prezzo di un enorme sacrificio di uomini, al punto che gli è stato attribuito il soprannome di “macellaio”. Questa sua predisposizione tuttavia asseconda le ambizioni massimaliste del suo presidente, il quale resta tuttora fedele all’illusoria speranza di riconquistare tutti i territori perduti, e ha appena chiesto a Syrsky un piano che eviti la “stagnazione” sul campo di battaglia.
Un’ultima ragione che probabilmente ha spinto Zelensky a prendere la decisione di licenziare Zaluzhny è che quest’ultimo lo aveva sopravanzato nei sondaggi di gradimento nazionale, mentre la popolarità del presidente sembrava cominciare a declinare. Benché non sia affatto scontata la volontà di Zaluzhny di intraprendere la carriera politica, Zelensky forse vedeva nel generale un possibile rivale in una futura competizione presidenziale.
Sebbene al momento non siano previste elezioni alla luce dello stato di guerra in cui si trova il paese, a maggio il mandato del presidente scade e ciò potrebbe influire negativamente sulla sua legittimazione popolare. Zelensky si è dunque assunto grossi rischi rimuovendo Zaluzhny contro il volere degli ucraini, in un momento in cui languono gli aiuti occidentali e la situazione sul terreno si fa sempre più difficile.
* Autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017).
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