di Stefano De Fazi
Il modo in cui è stato trattato il conflitto in Palestina negli ultimi mesi dalla maggior parte dei media italiani, mi ha fatto più volte pensare agli scritti del filosofo e attivista Noam Chomsky. Partiamo dalla sua definizione di intellettuale conformista, “coloro che appoggiano la linea ufficiale e trascurano o giustificano i crimini dell’autorità”. Rientrano in questa categoria le persone con alta risonanza mediatica, che danno risalto solo ai crimini commessi della fazione opposta, glissando sugli altri. Insomma più che di intellettuali, stiamo parlando di propagandisti. Questa definizione è perfetta per descrivere quello che abbiamo letto e sentito in questi ultimi quattro mesi.
Le violenze del 7 ottobre sono sempre state al centro di qualsiasi copertura mediatica del conflitto. Addirittura, in televisione come in Parlamento, non si poteva iniziare una discussione sulla questione, senza prima condannare quegli accadimenti. Al contrario, i crimini israeliani, per portata molto più ampi, sono rilegati in secondo piano. Abbiamo dovuto quindi assistere al comunicato dell’amministratore delegato della Rai che silenzia chi prova a sottolineare quei crimini e ci conferma che le sue televisioni continueranno a coprire solo quelli compiuti dalla parte opposta. Qualche settimana fa in un programma televisivo una giornalista di spicco del foglio affermava che il Sudafrica, per accusare Israele davanti alla Corte di giustizia, si sia dovuto concentrare sulle dichiarazione dei membri del suo governo, troppo aggressive , “in mancanza di altri elementi”. Riducendo di fatto un progetto basato sulla distruzione completa di un’area geografica ad un semplice problema di comunicazione.
Non sempre però è possibile ignorare del tutto i crimini della parte per cui si fa propaganda, se non altro perché, nonostante gli algoritmi avversi, possono diventare virali sui social media. Allora in questo caso, come descritto da Chomsky, si arriva alla classificazione degli omicidi. Quelli compiuti da Hamas rientrano sempre nella categoria di omicidio volontario. I reati di Israele, nonostante sia chiaro l’intento, vengono declassificati a preterintenzionali. Non si mette mai in risalto l’intenzionalità di quest’ultimi. Al contrario, li si fa sembrare delle pure casualità; effetti collaterali di un’operazione più vasta e unicamente difensiva. E’ emblematico il caso della bambina palestinese uccisa dall’esercito israeliano dopo aver effettuato una telefonata in cui chiedeva aiuto diventata virale. La stragrande maggioranza dei quotidiani italiani nel riportare la notizia non menzionano proprio le forze militari israeliane oppure, per mettere in dubbio la loro effettiva colpevolezza, le citano solo nel contesto dell’accusa delle autorità palestinesi.
Un altro punto rilevante da sottolineare è l’utilizzo di termini come “il mondo” o “la comunità internazionale” per identificare unicamente le opinioni dei governi occidentali, soprattutto quelli più allineati al volere americano. Per mesi i giornali ci hanno ricordato come le operazioni israeliane fossero appoggiate da tutta la comunità internazionale, perché rientravano nel proprio diritto all’autodifesa. In realtà, già dal 27 ottobre, all’Onu fu votata una risoluzione per il cessate il fuoco con la stragrande maggioranza di 120 paesi del mondo favorevoli. A votare a sfavore o ad astenersi furono una minoranza di 59, quasi tutti occidentali. Ma poco importa se l’opinione occidentale è in minoranza, è sempre raccontata dai nostri media propagandistici come quella prevalente nelle istituzioni internazionali.