di Gianluigi Perrone*
Quando arriva la notizia della morte di Alexei Navalny mi trovo in Siberia, nell’isola di Olkhon, a girare un servizio sugli sciamani che popolano l’Oblast, ben distante da Kharp, nel centro-nord dell’immensa regione siberiana, dove Navalny ha trovato la morte nella prigione “purgatorio” nominata Polar Wolf.
Non c’è neanche da discutere come le responsabilità ricadano su Vladimir Putin, a prescindere da qualsiasi scenario di decesso l’autopsia possa restituire, sempre che il corpo ricompaia. In queste condizioni climatiche ciò che si comprende presto è che la sopravvivenza stessa è legata a un filo sottile già in condizioni normali. Figuriamoci in un contesto così simile a quello raccontato da Dostoevskij in Memoria dalla Casa Morta, dove i peggiori criminali e gli intellettuali dissidenti condividevano un destino ai limiti della sopportazione umana. Vale la pena, tuttavia, fare alcune considerazioni sulle tempistiche in cui Navalny scompare.
A Monaco c’è il Congresso del G7, dove Zelensky si gioca il tutto per tutto per un ulteriore, estremo, supporto contro Mosca. La morte di Navalny, quindi, catalizza il simposio in una unanime condanna, a favore dell’Ucraina. A pochi giorni dall’intervista di Putin a Tucker Carlson che ha avuto enorme risalto internazionalmente, anche con tentativi di debunking relativamente a alcune accuse che il leader del Cremlino ha lanciato contro Usa e Uk. Questo in vista sia delle elezioni russe a marzo che, pur scontate, speravano in un riverbero di vittoria intorno al leader russo; quel consenso che era arrivato con i risultati sul campo di battaglia in Ucraina, quel consenso sigillato dall’intervista a Carlson, quel consenso crollato con la morte di Navalny.
Senza girarci intorno, la morte di Navalny è un grosso colpo inferto all’immagine di Putin, non solo in Occidente, non solo in Russia – dove gran parte della popolazione è costretta a chiudersi in una rassegnata vergogna – ma anche in Cina, dove Xi Jinping ha sacrificato una grande fetta della credibilità internazionale (quindi del commercio, dell’economia e di conseguenza del consenso interno) per puntare sull’integrità di Putin, in nome di un piano di armonia globale condiviso. La Cina ha i propri dissidenti, da Liu Xiaobo a Ai Weiwei, che però gestisce con molto più tatto mediatico. Il portavoce del ministero degli Esteri quindi si è astenuto con un “no comment”. Il sacrificio di un solo uomo può invertire la rotta e giustificare alcune decisioni che a Washington potrebbero aver già preso da tempo su una escalation in Ucraina?
Sarebbe molto stupido da parte di Putin commettere un atto del genere dopo tre giorni che ha dichiarato di volersi sedere davanti a un tavolo di pace con gli Usa. Ad oggi il corpo di Navalny non è stato consegnato alla madre, un solo inconsistente documento recita “sindrome di morte improvvisa”, come dire che è morto perché non respira. Forse non sapremo mai quanto Alexei Navalny sia coscientemente andato incontro a tale destino, fatto sta che ora è libero, e lo è diventato nel momento in cui poteva colpire maggiormente il proprio nemico. La gente in Russia guarda a questo evento con muta rassegnazione, non ne parla ma non certo perché approva. Semmai, sussurrando nel chiuso delle proprie case, si chiede se Navalny, consegnandosi, non fosse già consapevole del proprio martirio, quando rilasciò le parole “se mi faranno morire, non vi arrendete mai”.
Approfondimento nel mio canale Mind Cathedral
*CEO Polyhedron VR Studio