Cultura

Belzoni, Nobile, Osculati&Co.: le storie (ma anche le follie) degli esploratori italiani che scoprirono il mondo nel nuovo libro di Marco Valle

Nessuna garanzia di sopravvivere, rischi di fallimento a mille, I viaggiatori straordinari di Valle esaltano coraggio e follia, dissennatezza e naiveté, raccontando ai più giovani di oggi che i supereroi Marvel c’erano anche allora

di Davide Turrini

Italiani popolo di poeti, santi e navigatori. In attesa che scartabelliate su Google per trovare chi l’ha detto (sorpresa!), il libro Viaggiatori straordinari – Storie, avventure e follie degli esploratori italiani scritto dal giornalista e storico Marco Valle (Neri Pozza) conferma l’assunto con ricca, sfiziosa e sfaccettata disinvoltura. Del resto, inondati dalle sirene mangia e bevi di mete impossibili raggiungibili in un amen grazie a velocità supersoniche, come da rapidissimi click che catapultano perfino nel metaverso, tornare all’epopea degli esploratori casco, fucile e sestante, settimane e mesi di viaggio ardimentoso, sa di senso paradossalmente globale ante litteram e di epica avventurosa messa ingiustamente e culturalmente da parte. Mai dimenticare da dove si viene, e soprattutto dove si è voluti andare. Altro che terra piatta. Cristoforo Colombo andando verso ovest pensava di trovarci le Indie. Mentre Marco Polo andando verso est affrontava l’ignoto che nemmeno un eroe risorgimentale petto in fuori contro il nemico austriaco.

Esploratori italiani brava gente? Chissà. Di certo, nei secoli, nonostante la cieca furia coloniale, curiosi e indefessi scopritori di mondi e di spazi si sono succeduti guardando senza pregiudiziali antropologiche oltre l’uscio di casa anche solo per il gusto di farlo. E Valle lo spiega bene sostenendo che “in ognuno di questi stravaganti viandanti ritroviamo puntualmente il disgusto profondo verso la piaga dello schiavismo unito a sincera pietas per le popolazioni meno fortunate (fossero i patagoni argentini o gli azande africani, oppure i mai darat della Malesia) e la diffidenza se non il pieno rifiuto verso ogni forma di colonialismo predatorio (quello belga in Congo in primis)”. A questo punto ecco la lista sommaria, non esaustiva e definitiva, dei protagonisti di questo libro. E ai più certi nomi non suoneranno minimamente come conosciuti. Ne peschiamo alcuni dei tanti che il libro di Valle propone con rigorosa analiticità. Punto di inizio il Settecento quando “a differenza delle imprese medievali e cinquecentesche, per lo più affari di mercanti e marinai, le missioni divennero un affare di Stato: ai comandi, accuratamente selezionati e formati per i nuovi compiti, vennero affiancati gruppi pluridisciplinari di scienziati incaricati di redigere (…) i resoconti dei viaggi fornendo ai governanti rotte sempre più precise e informazioni strategiche”. Viaggi più lunghi e più sicuri grazie a migliori strumenti e mezzi di navigazione per mostrare una volta per tutte una sorta di positivismo di Stato tra scienza e mercantilismo.

Secolo inoltre in cui l’Africa, pensate un po’, risulta ancora illustre sconosciuta tanto che nel 1790 vengono censiti non più di 25mila europei in tutto il continente perlopiù concentrati nel Capo di Buona Speranza. Solo che tra le talassocrazie manca l’Italia – che ancora non c’è – e quelli che Valle definisce gli “italici”. “A partire dal Seicento l’intera Penisola – dall’alto Medioevo al Rinascimento la maggiore potenza economica dell’Europa – si era rattrappita su se stessa (…) nell’arco di tre generazioni l’Italia, da Paese ricco e sviluppato, divenne una terra povera e arretrata”. Eccezioni: il pistoiese Ippolito Desideri e il padovano Giovan Battista Belzon(i). Il primo partì come missionario ad inizio Settecento verso il Tibet per evangelizzare l’Oriente ma finì per diventare, come poi scrisse il Dalai Lama, il primo serio tentativo di dialogo interreligioso: “Sebbene fosse intenzionato a convertire i tibetani al Cristianesimo (…) il gesuita studiò a fondo la filosofia e la pratica del buddhismo in un’epoca in cui il concetto stesso di dialogo interreligioso era praticamente inconcepibile”. C’è di che sfregarsi gli occhi. Anche nel ricordare il marcantonio Giovan Battista Belzoni che forse gli amanti di Martin Mystère e Indiana Jones hanno da qualche parte già scorto. In fuga dall’arrivo di Napoleone, attore teatrale a Londra, poi improvvisato tecnico idraulico nell’Egitto del pascià Mohammed ‘Ali, Belzoni diventerà archeologo egittologo altrettanto improvvisato, nonché spia britannica tra le piramidi, sfidando il piemontese Bernardino Drovetti, fervente bonapartista, fondatore tra l’altro grazie a Carlo Felice di Savoia del Museo egizio aperto a Torino nel 1824, il più antico spazio espositivo interamente dedicato alla cultura faraonica al mondo. Senza tralasciare il bergamasco romantico cisalpino Giacomo Costantino Beltrami, che finì in pieno Ottocento a esplorare l’ovest americano diventando una sorta di Hugh Glass/Leonardo DiCaprio di The Revenant; o il monzese Gaetano Osculati che anch’esso in pieno Ottocento volle esplorare le Indie, ma per due incidenti navali dovette modificare due volte i suoi piani, prima dirigendosi nel Nuovo Mondo americano, poi ancora, altra nave che affonda, eccolo verso Sud nel Rio delle Amazzoni. Per forza di cose e spazio dobbiamo correre verso la svolta dell’Unità d’Italia, dal 1861 in avanti, quindi del “momento di «mostrar bandiera» su mari lontani” e quella successiva, l’espansione del regime fascista ben oltre i confini nazionali.

Tra i primi troviamo il fiorentino giramondo Odoardo Beccari che assieme al marchese genovese Giacomo Dorio affrontò “terre ignote”, ispirando con il suo pallino per il Borneo molte avventure poi raccontate da Salgari; tra i secondi Luigi Amedeo di Savoia, il principe scalatore, cugino del re Vittorio Emanuele III, che salì sulle africane Montagne della Luna e nel 1909 tentò di arrivare sulla vetta del K2 (fermandosi a 6666 metri), e le avventure al gelo dell’esploratore Vittorio Nobile che nel 1923 assieme al norvegese Amundsen e all’americano Ellsworth tentò la trasvolata del Polo Nord con il dirigibile Norge e la compagnia, ridicolmente contestata dai colleghi, dell’inseparabile cagnetta, Titina, salvata tra le strade di Roma. Nessuna garanzia di sopravvivere, rischi di fallimento a mille, I viaggiatori straordinari di Valle esaltano coraggio e follia, dissennatezza e naiveté, raccontando ai più giovani di oggi che i supereroi Marvel c’erano anche allora: corda, piccozza e taccuino per tramandare al mondo il piacere dell’ignoto.

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