Pablo Neruda fu vittima di un omicidio di Stato? Un tribunale cileno ha deciso di riaprire le indagini sulla morte del poeta. Da anni, periodicamente, il Partito comunista, a cui lo scrittore era iscritto, e i familiari del Premio Nobel per la Letteratura chiedono la riapertura delle indagini, ma a dicembre 2023 la giudice Paola Plaza aveva chiuso il caso. Adesso il procedimento verrà finalmente riaperto. Neruda morì un giorno prima di recarsi in Messico dove aveva accettato di andare in esilio con la moglie Matilde Urrutia.
Il giudice Plaza, competente per i processi relativi ai diritti umani, aveva dichiarato conclusa e archiviabile la fase investigativa, “dopo aver esaminato gli antecedenti del processo costituiti da dichiarazioni, verbali di polizia, documenti e perizie nazionali ed estere”. Tuttavia ora – con sentenza unanime – i giudici della prima Sezione della Corte d’appello di Santiago hanno revocato la decisione, accogliendo e adottando le procedure richieste dai nipoti dello scrittore e dal Partito. Nello specifico, nella sentenza i magistrati hanno sostenuto che “dai procedimenti realizzati in precedenza risulta che l’indagine non è esaurita”, e che “esistono precise procedure che potrebbero contribuire al chiarimento dei fatti nel pieno rispetto di quanto previsto dall’articolo 108 del codice di procedura penale”.
In base a queste considerazioni la Corte d’Appello ha annullato la sentenza registrata dalla giudice Plaza il 7 dicembre 2023 riaprendo le indagini e disponendo, fra l’altro, un nuovo esame calligrafico del certificato di morte, una reinterpretazione del parere degli esperti delle università McMaster e Copenaghen e l’interrogatorio di Peter Kornbluh, esperto di questioni cilene presso l’Archivio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
Poeta militante, diplomatico statale, politico di estrema sinistra, Neruda ricoprì per il proprio paese vari incarichi principali, e per la sua adesione al comunismo subì censure e persecuzioni, dovendo anche espatriare a causa della sua opposizione al governo autoritario di Gabriel González Videla. Poco prima della morte, assistette al colpo di Stato del generale Augusto Pinochet dell’11 settembre 1973 nonché alla morte del presidente socialista Salvador Allende, suo amico personale. Insediatasi la dittatura, i militari cominciarono le perquisizioni ordinate dal generale golpista, devastando le abitazioni a Valparaíso e a Santiago.
È anche per questo che le ragioni naturali del decesso, avvenuto in un ospedale di Santiago dodici giorni dopo il golpe e ufficialmente ricondotto a un tumore alla prostata, non hanno mai convinto parenti e sostenitori. Al punto che nel 2013 la salma era stata riesumata dopo 40 anni con l’obiettivo di dimostrare definitivamente la morte per avvelenamento. Nelle indagini del 2013 era emerso, a sorpresa, il nome dell’ex agente della Cia Michael Townley, che ha avuto stretti legami con il neofascismo italiano: coinvolto in attività terroristiche, membro anche della DINA come agente di collegamento, già condannato per il tentato omicidio di Bernardo Leighton e per l’omicidio di Orlando Letelier.
Una prima svolta però, sebbene non sufficiente a mettere un punto alle indagini, risale a un anno fa: a febbraio 2023 il nipote Rodolfo Reyes ha rivelato al quotidiano El Paìs che le analisi di un gruppo internazionale di esperti sul batterio Clostridium botulinum (trovato nel corpo già nel 2017) hanno dimostrato l’origine endogena, avvalorando così la tesi della somministrazione del veleno e dell’eliminazione politica.
Eppure, parafrasando Francesco De Gregori, anche avessero ammazzato Pablo, Pablo è vivo: e lo dimostrò già il suo funerale, l’unica e più grande manifestazione spontanea e di massa che sfidò il regime di Pinochet. Una delle poche espressioni di opposizione alla dittatura, nonostante la presenza dei militari con i mitra spianati, testimoniata da un filmato girato clandestinamente all’epoca e ancora visionabile online. I partecipanti inneggiarono ad Allende, eppure i soldati, perlomeno durante la cerimonia, non osarono intervenire.