Nel generale disinteresse, l’attenzione è catalizzata da altri accadimenti, si apre a Ginevra un appuntamento cruciale per il futuro di tutti noi. È l’ottavo round di trattative per cercare di mettere a punto un sistema di risposta comune globale, di fronte al diffondersi di nuove pandemie. Perché illudersi è inutile, accadrà ancora. Se saremo fortunati sarà qualcosa di meno virulento e letale del Covid, viceversa saremo alle prese con quello che gli esperti definiscono il “Big One”, ovvero un virus in grado di mettere a rischio la civiltà umana. Ecco perché un’azione di prevenzione e risposta a livello globale sarebbe fondamentale e assolutamente auspicabile. Eppure, purtroppo, le cose non stanno andando affatto bene. L’ottava sessione sotto la regia dell’organo di negoziazione intergovernativo ch si concluderà il primo marzo, segue 7 appuntamenti in cui sono emerse forti contrapposizioni tra i partecipanti. In particolare gli stati ricchi, sede delle principali aziende farmaceutiche globali, si oppongono a qualsiasi concessione sui diritti di proprietà intellettuale su formule dei vaccini e tecnologie per la loro produzione.
Il motivo per cui Stati Uniti, Svizzera, Canada ed Unione Europea non arretrano di un millimetro su questo punto è presto detto. In palio ci sono miliardi e miliardi di profitti per le case farmaceutiche che, da sempre, mobilitano ingenti risorse nelle loro azioni di lobby sui rispettivi governi. Eppure la lezione del Covid avrebbe dovuto insegnare qualcosa. Le case farmaceutiche non sono arrivate preparate all’esplosione del virus, sebbene “alert” in tal senso si ripetessero da anni. Investire in ricerca e sviluppo per vaccini su agenti patogeni di cui non si conoscono ancora le caratteristiche è finanziariamente molto rischioso. Il virus potrebbe non arrivare, dimostrarsi diverso o facilmente gestibile con farmaci già esistenti, gli investimenti così andrebbero persi. Ecco perché gli sviluppi in questo ambito sono avvenuti, prima del 2020, principalmente in enti di ricerca pubblici (università, etc) o grazie a finanziamenti erogati dai governi. Tuttavia, una volta che il virus è esploso, e le opportunità di business si sono palesate in tutta la loro portata, le case farmaceutiche si sono portate a casa tutto il malloppo senza concedere nulla. Hanno fissato i prezzi dei vaccini a loro piacimento e sfruttato la possente leva negoziale di cui disponevano nelle trattative con i governi, nella fase di piena emergenza.
Ne è risultata una distribuzione dei vaccini drammaticamente imperfetta. I paesi che potevano pagare di più si sono trovati con sovrabbondanza di fiale comprate a peso d’oro, lasciate ad ammuffire nei depositi. Le nazioni in via di sviluppo, al contrario, con una grave carenza di dosi. Anche nelle fase più acute della pandemia i produttori si sono opposti, spesso con il sostegno dei governi di riferimento, alla condivisioni di brevetti e tecnologie di produzione. Cosa che avrebbe consentito forse di limitare la penuria di farmaci nei paesi più poveri ma, soprattutto, dotare il pianeta di hub regionali per la produzione di vaccini utilizzabili anche in eventuali prossime ondate pandemiche. Peggio ancora la gestione del programma vaccinale è stato affidato a soggetti ibridi come Gavi di cui fanno parti soggetti pubblici ma anche privati come la Melinda e Bill Gates Foundation che, con l’aura della beneficienza, ha così avuto modo di entrare nelle stanze decisionali degli organi governativi di tutto il mondo, aumentando influenze, connessioni e conoscenze.
Da parte dei paesi più ricchi è pure in corso un mercanteggiamento sul come e sul se aumentare gli stanziamenti, oggi largamente insufficienti, per rafforzare la rete globale per il monitoraggio di nuovi agenti patogeni e la pronta condivisione delle informazioni. Fattori che consentirebbero di anticipare i tempi di allarme e per sequenziare gli agenti patogeni, accorciando i tempi per la messa a punto di farmaci.
La pandemia di Covid ha fruttato a gruppi come Pfizer-Biontech, Moderna, Johnson & Johnson i profitti più elevati di sempre. Questi guadagni sono quasi tutti finiti agli azionisti, non certo a finanziare ricerca e sviluppo di nuovi vettori per vaccini, business, ripetiamo, altamente rischioso finché le epidemie non si manifestano. Più in generale, rileva la People Vaccine Alliance che riunisce un centinaio di ong, tra il 2020 e il 2022, i venti i più grandi gruppi farmaceutici occidentali hanno corrisposto ad azionisti e manager 377 miliardi di dollari, a fronte dei circa 400 miliardi investiti nella ricerca di nuovi farmaci, di qualsiasi tipo. Altro punto sui cui i governi dei paesi ricchi frenano, allineandosi ai diktat della Federazione internazionale dei produttori e delle associazioni farmaceutiche, è la possibilità di imporre alle aziende che hanno ricevuto finanziamenti pubblici per le loro ricerche, di rinunciare a parte dei loro guadagni per rendere così più accessibili i medicinali sviluppati con i soldi di tutti. L’argomentazione opposta dalle imprese è sempre la stessa: misure che limitano la profittabilità dell’industria farmaceutica finiscono con il limitarne gli investimenti. Tuttavia, come abbiamo visto, gli investimenti in determinati ambiti sono già fortemente limitati, nonché delegati in gran parte al settore pubblico che si accolla quindi il rischio di perdite senza beneficiare però di eventuali guadagni. Insomma, si salvi chi può (permetterselo).