Nel Nord America centinaia di cervi stanno cadendo vittime della patologia da deperimento cronico (CWD), meglio nota come “malattia del cervo zombie“. Sguardo spento, bava alla bocca, difficoltà nella coordinazione: sono solo alcuni dei sintomi della malattia, che si configura come una patologia neurologica che sta preoccupando non poco gli scienziati.
I cervi che si ammalano vengono colpiti dai prioni, ovvero particelle infettive proteiche che causano danni al cervello. I prioni sono, purtroppo, molto resistenti nell’ambiente animale e non esiste un vaccino o una cura per la malattia da deperimento cronico. Tale patologia non è nuova, dal momento che se ne parla già dalla seconda metà degli anni Novanta. Ultimamente, però, è stato evidenziato un nuovo aumento dei casi. A preoccupare è anche il fatto che un animale malato può infettarne altri. Anche interi ecosistemi sarebbero in pericolo, proprio in virtù della letalità di questa patologia e la sua resistenza: i cervi, infatti, sono una fonte di cibo per altre specie e i loro spostamenti modificano l’ambiente, contribuendo al suo equilibrio.
Ma per l’uomo esiste qualche rischio? Stando a uno studio apparso su The Journal of Neuroscience ci sarebbe una “sostanziale barriera di specie per la trasmissione della CWD degli alci agli esseri umani”, ma, come riporta Wired, sebbene per ora non siano noti casi di encefalopatie umane riconducibili alla malattia da deperimento cronico, l’esposizione diretta (come nel caso di consumo di carne infetta) e indiretta sono realtà da tenere in considerazione e se si dovesse verificare un salto di specie saremmo alquanto impreparati.