L’accordo tra Europarlamento e Consiglio Ue sulla direttiva della qualità dell’aria non farà rientrare gli inquinanti nei limiti indicati dall’Organizzazione mondiale della sanità, ma mantiene l’introduzione del diritto al risarcimento per i cittadini proposta dalla Commissione Ue. Chi subisce danni alla salute a causa dell’inquinamento atmosferico potrà essere risarcito in caso di violazione delle norme Ue da parte dei governi nazionali. Un tema che interessa molto anche l’Italia, dato che più di trecentomila cittadini della Lombardia hanno già presentato manifestazioni di interesse per una class action contro i livelli di smog della Pianura Padana. Eppure proprio l’Italia è tra i Paesi che hanno chiesto e ottenuto la possibilità di un rinvio dell’applicazione per gli Stati che, per esempio, hanno condizioni orografiche complesse. Un ulteriore freno, ma almeno la revisione della direttiva va avanti. Perché il rischio era che non si arrivasse alla fine dell’iter prima delle elezioni europee. Avrebbe significato non un passo indietro ma cento, dato che tra gli inquinanti di cui si discute ci sono Pm 2,5, Pm10, biossido di azoto (NO2), biossido di zolfo (SO2), benzo(a)pirene, arsenico, piombo e nichel. Ora andrà confermata l’intesa sui livelli degli inquinanti più nocivi – in modo particolare Pm2,5, ed NO2. Il quadro d’insieme è in chiaroscuro: il testo base, presentato a ottobre 2022 dalla Commissione presieduta da Ursula von der Leyen nel pacchetto ‘Zero Pollution’, ha fatto i conti da un lato con le richieste di una maggiore ambizione arrivate dal Parlamento europeo e, dall’altro, con quelle di una maggiore flessibilità invocate da diversi Stati. In prima fila proprio l’Italia della Pianura Padana, una delle aree con l’aria peggiore d’Europa, come confermato dall’ultimo rapporto annuale dell’Agenzia europea per l’ambiente.
Si dimezzano gli inquinanti, ma restano valori doppi rispetto alle indicazioni dell’Oms – L’attuale limite fissato nella direttiva del 2008 per il Pm 2,5 è di 25 microgrammi al metro cubo, cinque volte maggiore rispetto ai 5 µg/m³ indicati dall’Oms nelle linee guida pubblicate nel 2021. Per il biossido di azoto il limite attuale è di 40 μg/m³, quattro volte quello ammesso dall’Oms. La revisione della direttiva, così come proposta dalla Commissione Ue nell’ottobre 2022, prevede valori limite di qualità dell’aria per PM2,5 e biossido di azoto (da raggiungere entro il 2030) doppi di quelli indicati dalle linee guida dell’Oms. E anche se il Parlamento Ue, a novembre 2023, aveva votato per l’allineamento alle linee guida dell’Oms, imponendo limiti più stringenti (da raggiungere però entro il 2035), l’accordo è frutto delle pressioni degli Stati. Se verrà confermato, i valori limite annuali per Pm 2,5 e biossido di azoto (NO2) dovranno comunque essere più che dimezzati rispetto a quelli attuali, passando, per il Pm 2,5 dagli attuali 25 a 10 microgrammi per metro cubo e da 40 a 20 microgrammi per metro cubo per il NO2. In entrambi i casi si tratta del doppio rispetto ai valori indicati dall’Organizzazione mondiale della sanità come come non dannosi per la salute umana, ma dovrebbero consentire di ridurre di almeno il 55% il numero di morti premature causate dalle polveri sottili. “La negoziazione è stata complessa e, quindi, nonostante non si arrivi a quanto indicato dall’Oms, è comunque positivo che si sia arrivato a un accordo” spiega a ilfattoquotidiano.it Anna Gerometta, presidente dell’associazione Cittadini per l’aria.
Più informazioni, ma anche flessibilità – Sono previsti, inoltre, più punti di campionamento della qualità dell’aria nelle città. L’Europarlamento e i Paesi membri hanno convenuto di rendere comparabili, chiari e accessibili al pubblico gli indici di qualità dell’aria, attualmente frammentati, in tutto il Vecchio Continente, dando informazioni sui sintomi associati ai picchi di smog e sui rischi per la salute associati a ciascun inquinante. Gli standard di qualità dell’aria saranno riesaminati entro il 31 dicembre 2030 e, successivamente, almeno ogni cinque anni e più spesso se richiesto da nuovi dati scientifici. Maggiori informazioni e un monitoraggio più accurato sono condizioni indispensabili anche in vista dell’introduzione al diritto di risarcimento. Ma l’accordo prevede anche delle flessibilità che riguardano pure i tempi di attuazione della direttiva. Oltre ai piani per la qualità dell’aria richiesti ai Paesi Ue che superano i limiti, stando all’intesa raggiunta, tutti i governi saranno chiamati a redigere tabelle di marcia per la qualità dell’aria entro il 31 dicembre 2028, definendo misure a breve e lungo termine per rispettare i nuovi valori limite 2030. Così come richiesto dal Consiglio Ue, è stata introdotta una clausola per i Paesi membri che potranno chiedere, entro il 31 gennaio 2029, di posticipare la scadenza del 2030 fino a dieci anni, se saranno soddisfatte alcune condizioni specifiche. Il rinvio verrebbe concesso fino al 2035, con possibilità di proroga di altri due anni, negli Stati per cui le proiezioni indicano chiaramente che i valori limite non possono essere raggiunti entro il 2030. Si potrà arrivare al 2040, inoltre, per quegli Stati che non possono rispettare le nuove regole a causa di particolari condizioni climatiche e orografiche, ma anche in quelli dove il taglio dei livelli di inquinamento potrà essere ottenuto soltanto sostituendo una parte considerevole degli impianti di riscaldamento domestico esistenti.
Quel rinvio chiesto dall’Italia per le condizioni orografiche ‘complesse’ – “Anche in virtù dell’emergenza smog nel Nord Italia, una volta approvato in via definitiva questo testo, il governo italiano deve dichiarare di non far ricorso alla clausola che concederebbe dieci anni in più agli Stati membri per raggiungere i nuovi limiti europei” ha commentato Maria Angela Danzì, europarlamentare del Movimento 5 Stelle. Ma, come spiega Anna Gerometta, “è stata proprio l’Italia a chiedere la flessibilità che riguarda le aree con caratteristiche orografiche complesse. Resterà da vedere, quando la direttiva entrerà in vigore, se l’Italia avrà o meno il diritto di ottenere quel rinvio che verosimilmente chiederà”. Ma l’Italia non è stato l’unico Paese ha chiedere meno ambizione. “Anche i Paesi dell’Europa dell’Est, che hanno ancora carbone e prevalentemente riscaldamenti a legna, hanno spinto per avere delle flessibilità nel testo, ma un pezzo rilevante della genesi di questo testo – continua – si deve al fatto che la Germania ha tenuto una posizione di astensione, dando spazio e una maggiore rilevanza ai Paesi meno ambiziosi”. Tra l’altro, in questi mesi, si è anche discusso della possibilità che potessero chiedere il rinvio i Paesi con un Pil inferiore alla media Ue, ipotesi che avrebbe comportato la possibilità che due terzi dei paesi dell’Ue potesse posticipare la riduzione degli inquinanti atmosferici dannosi per la salute fino al 2040, disegnando un’Europa a più velocità con crescenti disparità sanitarie. “Un’ipotesi che sembra scongiurata – conclude Gerometta – anche perché sarebbe stato davvero inaccettabile”.