Cronaca

Due detenuti malati morti a Roma, il Garante avvia verifiche. Il capo del Dap sui suicidi: “Dieci erano in custodia cautelare”

Nelle carceri italiane non ci sono soltanto detenuti che muoiono perché si tolgono la vita. A Roma due uomini malati sono morti a distanza di poche ore. Su questi decessi saranno avviate verifiche da parte del Garante nazionale dei detenuti. Le verifiche si effettueranno così come è stato fatto e sta avvenendo anche per altri casi. Il primo, deceduto nella notte tra il 19 e il 20, aveva 66 anni ed era diabetico e si trovava in cella a Rebibbia.

Il secondo, morto mercoledì mattina, aveva 77 anni ed era affetto da polmonite, oltre ad avere un’insufficienza renale: era ricoverato proveniente da Rebibbia. Il Garante delle persone private della libertà del Lazio, Stefano Anastasia, il quale si è impegnato a tenere un incontro con i dirigenti della Asl per verificare lo stato dei servizi sanitari interni all’istituto, ha denunciato “l’incompatibilità della detenzione con le malattie gravi, che non possono essere adeguatamente curate in carcere”. In merito alla morte del 66enne, Anastasia ha aggiunto: “L’inchiesta della procura dirà della tempestività dei soccorsi e dell’assistenza prestata”.

I dati sui suicidi – La notizia dei due decessi arriva nel giorno in cui il capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap) Giovanni Russo – in audizione davanti alla Commissione giustizia della Camera Dipartimento Amministrazione Penitenziaria – ha riferito sulla situazione delle carceri in Italia. In 10 casi sui 19 casi di suicidi avvenuti recentemente si trattava di detenuti in fase di custodia cautelare, altri sette erano condannati in via definitiva, uno aveva fatto ricorso in appello, altri tre erano stati condannati in primo o secondo grado. Il Dap, ha poi detto Russo, ha analizzato con un apposito team il carcere di Verona dove dallo scorso novembre ad oggi sono avvenuti ben cinque casi di suicidio, e non è stato rilevato nulla di anomalo, il percorso trattamentale e la detenzione non hanno evidenziato criticità particolari.

Quindici dei 19 casi di suicidio sono avvenuti nelle case circondariali, che costituiscono i tre quarti degli istituti di reclusione. Quattordici detenuti che si sono tolti la vita erano in cella multipla, tredici erano in reparti ordinari, cinque in regime protetto, un solo in regime ad alta sicurezza. In cinque erano in cella singola, due in regime di isolamento disciplinare. Per quanto riguarda i reati dei quali i 19 suicidi erano accusati, il capo del Dap ha detto che in otto erano in carcere per maltrattamenti in famiglia o violenza sessuale, cinque per omicidio o tentato omicidio.

Le donne con bambini – Attualmente sono 21 le donne detenute in carcere con 24 bambini al seguito, si trovano negli Icam, gli istituti a custodia attenuata per le madri che si trovano incardinati come ‘reparti’ negli istituti penitenziari, c’è un solo Icam, quello di Lauro, che è istituito fuori dal carcere ed è riservato solo alle madri con figli piccoli. Russo ha detto di non avere al momento i dati sull’accoglienza nelle case famiglia, ma che in quelle di Roma e Milano, però, ci sono posti liberi, solo che le decisioni sul collocamento delle madri detenute e i loro figli le prende la magistratura che nel caso di donne recluse per gravi reati legati a traffico di droga ha ritenuto pericoloso collocarle in strutture a custodia attenuata. L’onorevole Michela De Biase del Pd – che aveva chiesto approfondimenti sul tema delle madri recluse con bimbi nella precedente audizione di Russo – ha obiettato che sarebbe meglio tenere in considerazione l’interesse dei minori che deve essere prevalente su altro tipo di valutazioni.