Anche gli appassionati di motori conoscono la squadra di calcio olandese dell’Ajax. Qualche anno fa sfiorò la finale di Champions League, nonostante appartenga a un campionato economicamente piccolo, dove i soldi che girano sono pochi, non si possono fare debiti e quindi risulta quasi impossibile competere contro i colossi del continente. La rinascita dell’Ajax, dopo un ventennio di irrilevanza europea, aveva un nome e un cognome: Marc Overmars. Ovvero l’equivalente di Christian Horner per la Red Bull. Non tanto per una questione di ruoli, ma per la capacità di aver creato il tutto dal niente, o quasi. La Red Bull nemmeno esisteva prima dell’insediamento di Horner, mentre l’Ajax non aveva più spessore a livello internazionale prima di Overmars. Entrambe persone da pieni poteri, ma abili nel destreggiarsi su più livelli, in un peculiare mix tra ferocia, competenza, strategia e visione.
Cosa c’entra Horner con Overmars? La risposta si chiama “comportamenti inappropriati” e ha sancito la fine della loro era. Overmars, reo confesso, è stato licenziato nel febbraio 2022 dall’Ajax. Nel suo caso si è trattato di molestie sessuali nei confronti di più colleghe, che ha portato anche a una successiva sospensione di due anni da parte della commissione disciplinare della Fifa. Horner invece ha sempre negato le accuse mossegli dalla dipendente che sul finire del 2023 segnalò la questione alla Red Bull GmbH Compliance di Fuschl. Ma, fatta salva la presunzione di innocenza fino alla sentenza definitiva, la sua esperienza in Red Bull è terminata. L’annuncio ufficiale potrebbe arrivare già la prossima settimana, secondo quanto riportato dalla giornalista finlandese Mervi Kallio, principale volto del canale Viaplay e inviata in Bahrain al seguito dei test di inizio stagione. Soprattutto, appare nebuloso il futuro per il team. Come l’Ajax è crollato di schianto nell’era post-Overmars, così in Red Bull le conseguenze rischiano di essere pesanti una volta consumata la separazione dal suo deus ex machina. Perché Christian Horner è la Red Bull.
Se a finire sotto i riflettori fosse stata un’altra figura all’interno del team, il licenziamento sarebbe arrivato anche senza attendere la conclusione delle indagini interne. In questo caso però si sta parlando non solo del team principal, ma anche dell’amministratore delegato del team e di Red Bull Powertrains, gruppo che nel 2026 metterà in pista il primo motore (griffato Ford più per ragioni commerciali che tecniche) sviluppato dall’entità motoristica di Milton Keynes. Non è mai esistita una Red Bull senza Horner, portato alla corte del patron dell’energy drink Dietrich Mateschitz nel 2005 da un italiano, Vitantonio Liuzzi, primo driver del team che l’anno precedente aveva rilevato la Jaguar, e che con Horner aveva lavorato in Formula 3000. Da quella tabula rasa sono arrivati 13 titoli, di cui 7 mondiali piloti e 6 costruttori. Solo la Mercedes con 15 (7-8) è riuscita a fare di meglio.
Impossibile sostituire una figura simile non solo nell’immediato, ma anche nel medio periodo. Impossibile farlo senza contraccolpi, senza rischiare di smontare il giocattolo perfetto. Impossibile anche se il posto venisse assunto dal suo vice Jonathan Weathley, profondo conoscitore della realtà di Milton Keynes e di tutta la complessità dei meccanismi della F1. Perché a rendere vincente Horner non sono state solo competenza e visione, ma anche carisma e leadership nel costruire una squadra perfettamente oliata, dalla quale nessuno voleva andarsene nemmeno quando nei primi anni le vittorie non arrivavano. Senza dimenticare la capacità comunicativa e le abilità politiche. Horner è sempre stato un personaggio mediatico: il matrimonio con l’ex Spice Girls Geri Halliwell; gli scontri con Toto Wolff da serie tv Netflix; il tuffo in piscina con il mantello rosso in stile Superman per festeggiare il primo podio della Red Bull, quando il team si faceva notare più per le feste che per i risultati sportivi. Li chiamavano bibitari, parvenu, ca***ri. Poi sono arrivati i giovanissimi Sebastian Vettel e Max Verstappen, mentre altri ingaggiano piloti di 40 anni. Il resto è storia.
A livello politico, invece, è sufficiente ricordare la diplomazia con la quale ha “trattato” con la Fia una punizione il più possibile blanda per il team nel caso del superamento dei limiti del budget cap, visto che le accuse di irregolarità riguardavano la stagione 2021, quella decisa all’ultima gara con la controversa direzione di Michael Masi. Non un campionato qualunque. Horner lavora bene: il risultato sono stati una multa di 7 milioni di dollari e il taglio del 10% del tempo da utilizzare nella galleria del vento. Poco più di un buffetto rispetto a scenari ben più pesanti riguardo i risultati sportivi acquisiti e il prestigio della scuderia.
Eppure la continuità e la credibilità costruite da Horner partendo da zero non sono state sufficienti a evitare quella che Red Bull ha sempre temuto, e che spesso ha costituito una zavorra per altri team: le lotte intestine. Non tanto quelle tra Horner e Helmut Marko, nonostante la differenza di vedute ammessa pubblicamente da entrambi;, né quelle tra l’inglese e i Verstappen, padre e figlio, come suggerirebbe il fatto che sia stato un quotidiano olandese, il De Telegraaf, a rendere pubblica l’indagine, piazzando un ulteriore carico da novanta undici giorni dopo lo scoop quando hanno rivelato che Horner avrebbe provato a comprare il silenzio della sua accusatrice offrendole 760mila euro. Lo scontro, al netto delle responsabilità del team principal (per essere ricattati bisogna essere ricattabili, salvo non si tratti di una gigantesca, ma poco probabile, operazione denigratoria), è più politico e nasce dal vuoto lasciato nel 2022 dalla scomparsa di Mateschitz, con il ramo austriaco della multinazionale Red Bull opposto alla sezione anglosassone che si occupa specificatamente di Formula 1 (l’altra parte della proprietà è thailandese, con l’azionista Chaleo Yoovidhya che invece sembra avere scarsissimo feeling con Marko). Non è un caso che siano stati Oliver Mintzlaff, amministratore delegato di Red Bull (la multinazionale) proveniente dal mondo del calcio, quindi lontano da meccanismi e specificità del motor sport, e Mark Mateschitz, figlio del fondatore, i primi a volere andare in fondo alla questione procedendo con il licenziamento di Horner. Sul quale peserebbe anche l’accordo poi saltato con la Porsche in chiave 2026, per una trattativa non gradita dai vertici.
Bernie Ecclestone, uno che possiede una vasta conoscenza di intrighi, macchinazioni e scontri politici, ha recentemente dichiarato di essere convinto che “all’interno della Red Bull c’è qualcuno che vuole spodestare Horner. La morte di Mateschitz ha creato un vuoto e un rimescolamento a livello di top management, una situazione propizia per chi ha ambizione a scalare le gerarchie dell’organigramma Red Bull”. Horner era presente ai test in Bahrain, tra il velato disappunto di Liberty Media, che avrebbe voluto una decisione definitiva prima dell’inizio della stagione, e una più cauta Fia. Ognuna pronta a giocare le proprie carte. Ulteriore pressione è arrivata dalla Ford, che tramite il capo delle attività Motorsport Mark Rushbrook ha diramato il seguente comunicato: “Essendo un gruppo che si pone alti standard di integrità e correttezza nei comportamenti, ci aspettiamo lo stesso dai nostri partner”. Da qualunque parte si guardi questa delicatissima vicenda giunta ormai agli sgoccioli, nulla sarà più come prima in casa Red Bull.