C’è una corsa dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni, in particolare dei Comuni, nel chiedere di essere assegnati a funzioni diverse rispetto a quelle – ad esempio – che riguardano la gestione delle gare pubbliche oppure a tutte quelle attività legate al rilascio di permessi, istruttorie, autorizzazioni e provvedimenti riguardanti l’ambito dell’edilizia. Il motivo? L’altissimo rischio di finire sulla graticola con risvolti penali e erariali. Si tratta della cosiddetta ‘paura della firma’ collegata alla discrezionalità amministrativa e correlata a un tema di grande attualità: il reato di abuso d’ufficio. Vicende complesse e delicate che possono mettere a rischio il funzionamento della macchina amministrativa e paralizzare lo Stato. Problemi che erroneamente vengono rappresentati come strettamente politici e quindi il can-can delle inevitabili contrapposizioni tra maggioranza e opposizione, ma spesso anche all’interno della stessa maggioranza.

Se ne è parlato in un convegno all’Aula Pessina dell’Università Federico II di Napoli dove magistrati, accademici, avvocati, studiosi si sono confrontati con un approccio al ‘pratico’ e scientifico soffermandosi esplorando i punti di contatto e di frizione nei rapporti tra pubblica amministrazione, attività amministrativa e giurisdizione penale.

L’evento, organizzato dalla Rivista giuridica dell’edilizia in ricordo dei professori Guido D’angelo e Salvatore Bellomia, coincide con i quarant’anni dalla scomparsa del suo fondatore, maestro del diritto amministrativo e costituzionale Aldo Mazzini Sandulli, napoletano, nato e laureatosi a Napoli, dove anche ha insegnato nell’Università federiciana, oltre ad avere successivamente ricoperto, tra le diverse cariche, quella di Presidente della Corte costituzionale.

I temi caldi dell’attualità entrano nel dibattito universitario per fissare uno sguardo altro rispetto alle ragioni di parte. Con Luigi Maruotti (Presidente del Consiglio di Stato), i presidenti di sezione Raffaele Greco (Consiglio di Stato) e Vito di Nicola (Cassazione), e i professori universitari di diritto amministrativo, penale e costituzionale Maria Alessandra Sandulli, Emanuele Boscolo, Marco Calabrò, Cristiano Cupelli, Massimo Luciani, Fiorenzo Liguori e Vincenzo Maiello si sono soffermati, non poteva essere diversamente, sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio.

È emerso che a fronte dei dati giudiziari, a tutti noti, che attestano la bassissima, si potrebbe dire insignificante, percentuale di condanne rispetto alle azioni giudiziarie avviate, alcuni dei relatori hanno auspicato un intervento del legislatore affinché venga attuata una nuova riforma dell’articolo 323 del codice penale, ma senza abrogarlo come invece si appresta a fare la maggioranza con l’appoggio di alcune forze politiche dell’opposizione. Insomma, il rimedio sarebbe peggiore del male.

L’abrogazione dell’articolo di legge sull’abuso d’ufficio paradossalmente attiverebbe l’applicazione di altre norme, già previste dall’ordinamento, ma per altre finalità, che verrebbero utilizzate per sanzionare comportamenti percepiti come contrari all’interesse pubblico. C’è un punto fondamentale che emerge ulteriormente: le criticità dell’esercizio della discrezionalità amministrativa. I giudici sono chiamati, in molte circostanze, a interpretare leggi spesso ‘oscure’. Anche sulla base della loro esperienza pratica e disagio sarebbe auspicabile che la loro autorevole voce giunga sino in Parlamento e aiuti il legislatore a costruire norme che garantiscano davvero i diritti dei cittadini e così garantire un esercizio sereno delle funzioni dei dirigenti che, con la loro firma, si assumono la responsabilità dei provvedimenti delle pubbliche amministrazioni.

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