Approvata la quarta relazione del governo sul piano. Depurata da crediti d'imposta e incentivi “automatici”, la cifra complessiva si affloscia ad appena 31,7 miliardi. Fitto dà la colpa agli enti che non rendicontano gli investimenti fatti
Il governo è costretto a ufficializzare che l’utilizzo dei fondi europei del Pnrr procede molto più a rilento rispetto a quanto previsto. La quarta relazione sull’attuazione del Piano, arrivata con due mesi di ritardo all’esame della Cabina di regia con i ministri competenti e i rappresentanti degli enti locali, attesta che l’Italia ha speso al 31 dicembre 2023 45,6 miliardi sui 101,93 miliardi ricevuti: meno della metà. Il dato più preoccupante è quello relativo al 2023: nel primo anno “pieno” trascorso da Meloni a Chigi sono stati utilizzati solo 21,1 miliardi di euro. Meno che nel biennio 2021 e 2022, quando la spesa ha superato i 24 miliardi complessivi, ma soprattutto poco più della metà rispetto a quanto previsto dall’esecutivo nella Nota di aggiornamento al Def del 2022.
Non solo: a gonfiare le cifre sono i crediti di imposta di Transizione 4.0 e quelli relativi ai bonus edilizi, soprattutto Superbonus 110%, che non richiedono azioni attive della pa. Depurata dagli incentivi “automatici”, la spesa effettiva si affloscia ad appena 31,7 miliardi, il 31% delle somme incassate da Bruxelles. Calcolando il peso di quella cifra sui 168,4 miliardi destinati agli investimenti, la percentuale crolla al 18% (dal 6% stimato a fine 2022 dalla Corte dei Conti). Se si guarda alla sola voce “Realizzazione di lavori pubblici”, a fronte di una dotazione finanziaria che a fine piano sarà di 80 miliardi “si rileva un livello di spesa di 10,07 miliardi pari al 12,5% del budget“, spiega la bozza.
Da notare, peraltro, che quei numeri riguardano il Pnrr nella versione precedente alla revisione approvata lo scorso novembre dalla Commissione Ue, “il quale considera anche le spese (pari a circa 2,6 miliardi di euro) relative alle misure spostate dal Piano per effetto della decisione del Consiglio Ecofin dell’8 dicembre 2023″. Tenendo conto della rimodulazione, dunque, i soldi usati calano a 42,9 miliardi.
La premier Giorgia Meloni, nella premessa della relazione approvata giovedì, ammette che serve “un’accelerazione decisiva per l’incremento della spesa delle risorse stanziate e per la rapida implementazione delle nuove misure inserite nel Piano”, visto che nel 2024 dovremmo “misurarci con il conseguimento dei 39 obiettivi e traguardi associati alla sesta rata, pari a 9,6 miliardi di euro, e dei 74 obiettivi e traguardi connessi alla settima rata, pari a 19,6 miliardi di euro”. La presidente del Consiglio, pur rivendicando l’ottenimento della terza e quarta rata grazie ai risultati riconosciuti nel Rapporto della Commissione europea sulla Valutazione intermedia del Dispositivo per la ripresa e la resilienza, sa bene che di questo passo rischia di perdere la scommessa iniziale del piano: portare la Penisola fuori dal circolo vizioso della bassa crescita e mettere in sicurezza la sostenibilità del debito.
Ora bisogna correre. Ma il ministro competente per il piano, Raffaele Fitto, non è ancora riuscito a portare in consiglio dei ministri il nuovo decreto Pnrr chiamato ad attuare la revisione individuando le coperture per gli investimenti oggetto di rimodulazione, per i progetti definanziati e per il nuovo Capitolo RePowerEU. Il varo slitta da settimane, congelando la spesa effettiva visto che gli enti attuatori continuano a ricevere mini anticipazioni di liquidità pari al 10% del valore delle commesse con cui non riescono a soddisfare le richieste delle imprese appaltatrici.
Nel tentativo di respingere le critiche, Fitto in conferenza stampa si è detto convinto che i numeri siano “assolutamente sottodimensionati” e ha chiamato in causa gli enti attuatori rei di “non aver caricato, sul programma Regis, una spesa già di fatto effettuata”. Anche nella relazione si sottolinea come il dato sui 45,6 miliardi utilizzati “si riferisce alla spesa effettuata dai soggetti attuatori come riscontrabile dal sistema di monitoraggio e potrebbe, quindi, in alcuni casi risultare incompleto qualora le amministrazioni non abbiano provveduto a registrare le singole operazioni”. Non sempre infatti il sistema, di alimentazione assai complessa per i piccoli enti, viene aggiornato in tempo reale. Cosa che in passato ha già alimentato polemiche tra esecutivo e Comuni sulle responsabilità per la mancata realizzazione degli investimenti programmati. Di qui l’annuncio di “azioni per rafforzare l’obbligo per le amministrazioni di aggiornare tempestivamente le informazioni rilevanti, nell’ambito di un regime di responsabilità per il conseguimento degli obiettivi. Ciò consentirà di allineare il dato di spesa all’effettivo stato di attuazione dei singoli interventi, con un incremento del dato complessivo”.
Non ci sta il presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, che ribadisce come “buona parte della spesa è merito dei Comuni che hanno fatto 230mila gare sui 35 miliardi assegnati”. E mette il dito nella piaga dei ritardi di Fitto chiedendo “ancora una volta al governo di trovare nel nuovo decreto le risorse per sostituire i 10 miliardi che sono stati spostati sul Repower – mantenendo le stesse semplificazioni previste per le opere prima finanziate col Pnrr – e di procedere speditamente con i pagamenti perché rischiamo di bloccare opere pubbliche che sono importanti per migliorare le condizioni di vita delle nostre comunità”.