La visita al Museo della memoria e dei diritti umani, che ho effettuato a Santiago del Cile, costituisce un’esperienza emotivamente impressionante e intellettualmente istruttiva. Illustrando i molteplici crimini della dittatura cilena, essa ci rivela come il fascismo sanguinario costituisca il vero volto dell’imperialismo e del capitalismo, che ad esso ricorrono ogniqualvolta temano di vedere minimamente scosse le fondamenta del loro regime oppressivo.
È successo in Cile cinquanta e poco più anni fa, ma anche in varie altre parti del mondo, anche in tempi relativamente recenti, fino al genocidio del popolo palestinese attualmente operato dal regime nazisionista di Tel Aviv grazie all’appoggio politico, economico e militare degli Stati Uniti e degli altri Stati occidentali, Italia compresa.
In Cile le ferite del colpo di Stato dell’11 settembre 1973 sono ancora ben lungi dall’essere rimarginate, tanto è vero che sono falliti i due tentativi, uno di sinistra e uno di destra, di sostituire la Costituzione varata a suo tempo da Pinochet e successivamente emendata in modo parziale dai governi che si sono susseguiti dal 1988 in poi.
Il nuovo giovanissimo presidente, il 38enne Gabriel Boric, deve la sua elezione alle ondate di ribellione giovanile e popolare culminate nel cosiddetto Estallido social del 2019, oltre che al sussulto antifascista che ha ripudiato il suo antagonista legato apertamente all’estrema destra cilena. Praticamente immutato è rimasto il nucleo duro del regime neoliberista instaurato colla forza delle armi l’11 settembre 1973, che grazie al massacro dell’avanguardia politica cosciente del popolo cileno ne trasformò il resto in una massa di cavie per la sperimentazione in corpore vili delle folli teorie economiche di Milton Friedman e degli altri Chicago Boys. Nucleo duro che significa ruolo marginale dello Stato e dei diritti sociali, povertà crescente di parte notevole della popolazione, supremazia selvaggia del capitale sul lavoro. Su questo non sono riusciti a incidere in modo significativo né le lotte sociali, né il processo costituente, né la presidenza di Boric.
Si aggiunga il grave problema dell’immigrazione, in parte di stampo delinquenziale, proveniente soprattutto dal Venezuela, dove i criminali al servizio della destra sono rimasti senza lavoro dopo che il governo chavista ha sgominato le guarimbas, oltre cinque anni fa. Una chiara responsabilità al riguardo è quella del buonanima ex presidente Sebastian Pinera che anni fa si recò a Cucuta, in Colombia alla frontiera col Venezuela, in supporto all’opposizione antichavista e rivolse un appello agli oppositori invitandoli in Cile, dove si trovano abbastanza bene, dedicandosi a narcotraffico, grassazioni e rapine, e hanno trasformato un Paese un tempo tranquillo in un luogo mediamente pericoloso.
Anche in occasione dell’estallido social, lo Stato cileno tirò fuori il suo volto peggiore, con centinaia di giovani che perdettero parzialmente o totalmente l’uso della vista per le lesioni oculari subite per aver ricevuto pallottole di gomma o perdigones negli occhi. E furono, paradossalmente ma significativamente, gli stessi vertici delle Forze armate e dei Carabineros a rifiutarsi di intervenire in modo ancora più diretto nella repressione, come richiesto dallo stesso Pinera. Guai quindi a sottovalutare le responsabilità di quest’ultimo che è invece stato oggetto, a seguito della sua tragica morte, di un vero e proprio, quanto indebito, processo di beatificazione.
Altro tema scottante, di cui risentiamo fortemente in modo sempre più acuto anche in Italia, è un sistema dei media, specie quelli radiotelevisivi cui attinge la maggioranza della popolazione, che di informativo ha davvero ben poco, e si limita invece a replicare a tamburo battente messaggi angoscianti a partire dai fatti di cronaca, specie episodi di criminalità, secondo ben collaudati moduli di origine statunitense.
In conclusione, non poche sono le similitudini tra Italia e Cile, ora come già cinquant’anni fa. Tenendo presente anche il fatto che anche da noi si riaffaccia, sia pure per il momento in forme tutto sommato blande, anche per l’assenza di un’opposizione degna di questo nome, il fantasma del fascismo, che trova un suo propellente anche nella corsa tra Lega e Fratelli d’Italia a chi è più oppressivo, con Meloni che a volte addirittura recita, sia pure in modo poco convincente, la parte del poliziotto buono.