di Enza Plotino
È allarme democratico per l’ambiente e la transizione ecologica. Non vorrei addentrarmi in discorsi troppo ideologicamente complicati ma, cosa pensa la destra di Meloni e di tutti gli altri gruppi conservatori o neofascisti europei, dell’ambiente e dell’energia alternativa è notorio. L’idea ecologista di estrema destra è l’apoteosi dell’incoerenza. Sono le opportunità politiche a determinare le decisioni della destra sull’argomento e non il contrario.
La questione ambientale per i populisti di destra va sostenuta solo nella misura in cui non danneggia il sistema di interessi. Quando non c’è il negazionismo più becero e antiscientifico, per gli ecologisti di destra i parchi solari sono accettabili se non impattano sull’agricoltura, le tasse sul carbonio sono accettabili se non danneggiano economicamente le persone e la riduzione degli imballaggi è accettabile se non espone le imprese nazionali a maggiori costi. Quindi l’attenzione che oggi la destra mostra per le questioni ambientali è esclusivamente strategica.
Giorgia Meloni deve trovare sintonia con l’interesse degli elettori più giovani per questi temi, con i finanziamenti alle politiche di transizione energetica e con le opportunità di investimento. Tutto qui. Anche il sistema naturale ha un suo perché ideologico: “L’Europa è un giardino, minacciato dal resto del mondo che è una giungla. E la giungla potrebbe invadere il giardino. Da qui la necessità di avere tanti giardinieri a difendere il sistema Europa dalle erbacce straniere”. Non è un passaggio un po’ delirante del manifesto di qualche suprematista bianco, ma lo ha detto Josef Borrell, alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, nel 2022 in un messaggio agli aspiranti diplomatici al Collegio d’Europa di Bruges. Questo la dice lunga sulle condizioni in cui siamo.
E in questo ginepraio di rigurgiti dell’estrema destra che affiorano, i soldatini di Meloni “mettono a terra”, in Parlamento, gli strumenti per smantellare la transizione ecologica ed energetica, quel poco che gli ambientalisti sono riusciti ad imporre a governi mai convintamente ecologisti. Uno di questi passaggi di “messa a terra” è il disegno di legge sulla modifica organica della legge 394, la legge quadro sulle aree protette, riforma a firma Fratelli d’Italia, giunto in Parlamento, in VIII Commissione.
Non che la legge 394, che ha permesso al nostro Paese di realizzare un sistema diffuso di protezione della natura e ha saputo “regolare” le esigenze di conservazione della natura con quelle di crescita sostenibile di un complesso sistema di ambiti territoriali protetti, non abbia la necessità di adeguarsi ai cambiamenti sopraggiunti da quel lontano 1991. Ma la proposta della destra, che minaccia la transizione ecologica nazionale, mira a smantellare la governance dei Parchi (la destra lo chiama “snellimento”) attraverso la soppressione dei consigli direttivi dei parchi, le cui funzioni, badate bene, vengono trasferite alle Comunità del Parco (rimesse quindi nelle mani dei politici locali) e a riportare le aree protette là dove erano prima della legge 394: tra le grinfie interessate del profitto e dell’interesse dei politici locali a caccia di consensi e poltrone.