Deve ricredersi chi si aspettava di trovare nel Comitato Olimpico Internazionale un interlocutore che impedisse la realizzazione della costosissima e controversa pista da bob di Cortina. La commissione venuta da Losanna per esaminare lo stato delle opere di Milano Cortina 2026 se ne lava, diplomaticamente, le mani. Il 20 febbraio è salita a Cortina, proprio mentre cominciava l’abbattimento dei larici secolari del bosco di Ronco per far posto all’infrastruttura da 124 milioni di euro. Ha constatato che i lavori affidati all’impresa Pizzarotti non sono neppure cominciati. Non è bastato questo scenario, a 400 giorni dal momento del pre-collaudo della pista, per scuotere dalla loro imperturbabilità, gli ispettori del Cio. Nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta a Venezia (all’esterno qualche decina di manifestanti anti-pista) hanno ammesso che ci sono ritardi, ma non intendono interferire con le decisioni italiane, anche se sono preoccupati per il rispetto ambientale e per il rischio di costruire “cattedrali nel deserto” in montagna. Che gli italiani provino a costruire la pista voluta fortissimamente dal vicepremier Matteo Salvini e dal governatore Luca Zaia, ma se la struttura non dovesse essere pronta per il marzo 2025, il Cio farà disputare le gare di bob, skeleton e slittino all’estero.

La commissione ha ripetuto le stesse parole usate negli ultimi quattro anni per segnalare all’Italia che non c’è bisogno di nuove strutture per una disciplina destinata a pochi atleti. Quelle che ci sono sarebbero sufficienti. La conferenza stampa ha fornito un’unica certezza: il Cio non decide per l’Italia, ma pretende un “piano B” per trovare una sede alternativa a Cortina. E la pista “Eugenio Monti”? Se non sarà pronta, la si potrà usare per altri eventi.

La presidente Kristin Kloster si è detta ammirata per “i paesaggi spettacolari” di Cortina e ha ribadito che Milano Cortina 2026 “segnerà il nuovo approccio del Cio in termine di sostenibilità, alla luce dell’Agenda olimpica 2020”. Nessuna nuova opera, costi ridotti, niente sprechi. “Le autorità italiane volevano questa sede di Cortina e noi abbiamo rispettato la loro decisione. Ma siccome si è preso atto dei tempi strettissimi, per quanto riguarda Cortina abbiamo chiesto un piano B”. Christopher Dubi, direttore esecutivo di Giochi, messo alle strette, ha ammesso: “La pista da bob è stata ed è una sfida complicata… imploriamo che i tempi vengano rispettati… verificheremo giorno dopo giorno, perché i tempi sono serratissimi. La scadenza per la decisione finale sarà nel marzo 2025”.

Ma perché il Cio non ha fermato l’Italia in questa corsa in cui la politica si è dilaniata? “Bisogna ricordare il potere della nostra istituzione. Noi abbiamo fatto dichiarazioni ed espresso i nostri desideri, adesso la realtà è che a Cortina è aperto un cantiere. Ma siamo stati molto chiari sulla pre omologazione e sulla sicurezza degli atleti”. Dubi non è andato al di là di una petizione di principio “sul rispetto dei codici olimpici e dell’ambiente”. E il bob? “Per il bob c’è un futuro, anche se la pista non sarà utilizzata per le Olimpiadi 2026″.

Il presidente del Coni, Giovanni Malagò, nonché presidente di Fondazione Milano Cortina 2026, ha preso le distanze per l’ennesima volta da Infrastrutture Milano Cortina (Simico) la società governativa il cui commissario Luigivalerio Sant’Andrea è stato appena silurato dal ministro Salvini: “Non siamo noi a costruire le opere, noi organizziamo i Giochi”. Poi ha spiegato che l’unica struttura nuova delle Olimpiadi è quella di Cortina. A microfoni spenti, Malagò ha però ammesso di avere assistito a un balletto sconcertante della politica, da una parte la Lega che ha voluto la pista a Cortina, dall’altra Forza Italia che spingeva per il recupero dell’impianto di Torino 2006 dismesso da anni. “Si sono fatti la guerra…”. Cosa accade se Simico e Pizzarotti non faranno la pista in tempo, per marzo 2025? “Se non sarà pronta, si andrà all’estero”. Eppure ad ottobre scorso proprio Malagò disse al Cio, riunito a Mumbai, che l’Italia aveva già scelto di non fare la pista. Fu un tentativo di forzare la mano? “Questo lo dice lei…”, risponde. Ma non smentisce. Ormai si è capito che, stante le complicazioni del bob, Malagò non è contrario alla soluzione estera.

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