La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha inflitto la sanzione della censura al sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser, il magistrato che ha chiesto la revisione delle condanne inflitte a Olindo Romano e Rosa Bazzi per la strage di Erba. L’accusa nei suoi confronti era di aver mancato ai “doveri di imparzialità e correttezza” per aver depositato di propria iniziativa la richiesta, “in palese violazione del documento organizzativo dell’ufficio” che assegna questa facoltà soltanto al pg presso la Corte d’Appello o al suo vice, l’avvocato generale. Tarfusser, invece – ricorda il capo d’incolpazione – agì in autonomia il 31 marzo 2023, dopo aver tenuto, senza alcuna delega, lunghi “contatti con i difensori” di Olindo e Rosa, all’ergastolo in via definitiva per il massacro, e aver ricevuto da loro “documenti asseritamente integranti nuovi e decisivi elementi di prova”.

“Questo procedimento disciplinare un po’ mi offende, un po’ mi indigna. Ma non mi meraviglia: fa parte di un trattamento che ho ricevuto sin da quando sono rientrato dall’estero, quattro anni fa. Ho dovuto prendere atto che il successo non mi è perdonato e che il merito non mi è riconosciuto. Ma ho fatto bene ad agire come ho agito, altrimenti oggi non saremmo alle porte dell’apertura di un nuovo processo per i coniugi Bazzi e Romano”, ha detto Tarfusser rendendo dichiarazioni spontanee di fronte al collegio del Csm. “Tra cinque mesi andrò in pensione. Mai mi sarei aspettato, dopo quasi quarant’anni di servizio durante i quali ho sempre lavorato con serietà, dedizione, passione e correttezza, di trovarmi di fronte al Csm incolpato proprio per questo motivo”, ha aggiunto, cedendo anche a un momento di commozione. L’accusa, rappresentata dal sostituto pg della Cassazione Simone Perelli, aveva chiesto proprio la censura (la sanzione minima prevista per il capo d’accusa), mentre il difensore Emanuele Principi aveva invocato il proscioglimento. La decisione è arrivata dopo quasi due ore di camera di consiglio. “Rifarei quello che ho fatto e sono contento di averlo fatto”, ha affermato il magistrato censurato parlando con i cronisti dopo il verdetto, spiegando di voler leggere le motivazioni (che saranno depositate entro novanta giorni) prima di decidere se fare ricorso di fronte alle Sezioni unite civili della Cassazione.

Il procedimento nei confronti del pm altoatesino, già vicepresidente della Corte penale internazionale, è nato da una segnalazione da parte della procuratrice generale di Milano, Francesca Nanni. A fine luglio, Nanni aveva comunque trasmesso la richiesta di revisione al giudice competente, la Corte d’Appello di Brescia, accompagnata però da un parere negativo: a gennaio l’istanza è stata ritenuta ammissibile e venerdì 1° marzo inizierà la discussione. Nell’udienza di martedì, la Sezione disciplinare – presieduta dal numero due del Csm Fabio Pinelli – ha ascoltato come teste proprio la procuratrice generale, convocata su richiesta dell’accusa (mentre la difesa si era opposta): alla domanda se a Tarfusser fosse mai stata affidata una delega a occuparsi del caso Erba, ha risposto “assolutamente no”. “Sono venuta a conoscenza di questa situazione il 31 marzo, dopo il deposito della richiesta. Il 24 era stata inviata una mail al mio indirizzo di posta istituzionale che chiedeva un appuntamento parlando di una “questione di una certa urgenza”, senza indicare quale”, ha ripercorso. “Ci tengo a indicare che la prassi, per i sostituti che mi vogliono parlare, è di venire direttamente nel mio ufficio. La mia porta è quasi sempre aperta. Non mi è mai capitato di ricevere richieste di appuntamento via mail”, ha sottolineato. “Ricordo”, ha aggiunto, “che l’urgenza derivava dal fatto che di lì a poco ci sarebbe stato un programma televisivo, il collega non avrebbe voluto che la Procura generale arrivasse per seconda. In effetti la domenica successiva è stato dedicato ampio spazio al caso alle Iene. Ricordo di aver risposto che mai in tutta la mia carriera avevo subordinato le decisioni giudiziarie alle esigenze mediatiche“, ha rivendicato.

Subito dopo ha preso la parola Tarfusser, che alzandosi in piedi (“sono un pm, ci sono abituato”) ha pronunciato un’appassionata autodifesa. “Non conosco la prassi perché la prassi non ci è mai stata comunicata. Penso di essere abbastanza esperto da poter prendere delle decisioni in autonomia”, ha esordito. “Non prendo la parola per difendermi: la mia difesa è nella mia storia, non banale, di magistrato. Nemmeno prendo la parola per giustificarmi, o per dire “avete capito male”: ero perfettamente consapevole di ciò che ho fatto e di ciò che ho scritto. Non chiedo clemenza né comprensione: se ho sbagliato pago, ma se non ho sbagliato, come credo, devo essere assolto. Non ho fatto nulla di quello di cui sono incolpato, non ho violato alcuna norma perché questa norma non c’è”, sostiene. Dopo aver inviato la mail a Nanni – ha ripercorso – “ho atteso una settimana intera, e constatato che ero stato ignorato, ho esercitato la mia funzione di magistrato autonomo e indipendente, soggetto alla Costituzione, alle leggi e alla mia coscienza”, depositando l’atto che aveva redatto in autonomia. “Devo dire che trovo intollerabile, umiliante e offensivo nei miei confronti, che a tutt’oggi la procuratrice e l’avvocato generale (Lucilla Tontodonati, ndr) non abbiano mai risposto ad alcuna delle mie richieste successive. Sono stato trattato come se non esistessi”, ha lamentato. Un aspetto sottolineato anche dal suo difensore: “Se il mio capo non mi ascolta, non può dare la colpa a me di non essersi messo alla sua porta finché non mi ha ricevuto. È una questione di dignità”, ha detto. Tarfusser ha concluso citando Indro Montanelli: “Combattete sempre per ciò in cui credete. Perderete molte battaglie, ma vincerete la più importante, quella che si ingaggia la mattina davanti allo specchio“. “Io questa battaglia l’ho sempre vinta”, afferma.

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