Snam fonda Arbolia perché realizzi boschi urbani che consentano di assorbire anidride carbonica, ma nel solo 2022 ha prodotto emissioni pari a ottomila volte quelle ‘compensate’ attraverso i progetti della società benefit. Arbolia, infatti, prevede di arrivare nel 2022 a un assorbimento di 7mila tonnellate di CO2 in 20 anni, con 66mila piante già piantumate. Significa circa 350 tonnellate all’anno in media, a fronte di 2,8 milioni di tonnellate di anidride carbonica emessi nel 2022 da Snam. Secondo uno studio realizzato per ReCommon dai ricercatori Valerio Bini e Stefania Albertazzi, entrambi dell’Università degli Studi di Milano, e Francesca Giacometti (Università per lo sviluppo sostenibile di Eberswalde, in Germania) e di cui ilfattoquotidiano.it pubblica in anteprima i risultati, i benefici dei progetti della società benefit sono molto parziali. “Ognuno assorbe in media 13 tonnellate di CO2 all’anno, pari ai consumi di 2 o 3 persone, secondo la media italiana” spiegano i ricercatori. Sono 28 i progetti di forestazione urbana realizzati dal 2020 a oggi. Lo studio prende in considerazione un totale di 26 interventi distribuiti su 23 comuni, in 11 regioni italiane. Secondo ReCommon “tutta l’operazione si innesta più nell’ormai fiorente settore del greenwashing strumento sempre più impiegato dalle multinazionali del fossile”. “Altro che sostenibilità – commenta Elena Gerebizza, ricercatrice e campaigner della ong – le emissioni di Snam nel 2022 sono aumentate del 19% rispetto a quelle del 2021, senza contare gli impatti su salute e ambiente derivati da tutta la filiera del Gnl in cui Snam si è gettata a capofitto”.
I progetti di Arbolia – I boschi urbani vengono realizzati per sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera e assorbire PM 10. Alcuni dei 28 progetti di Arbolia non sono ancora operativi o sono stati approntati da poco. Quelli analizzati dalla ricerca sono distribuiti su 23 comuni, con una prevalenza nel Nord Italia: Veneto e Lombardia sono le regioni più interessate. “Il progetto tipico di Arbolia è costituito da un intervento di forestazione in aree peri-urbane di dimensioni abbastanza contenute (tra i mille e i duemila alberi su superfici di uno o due ettari)” si spiega nel report. I progetti sono portati avanti attraverso un accordo tra amministrazioni locali e la società benefit, che si occupa di realizzare l’intervento e della sua manutenzione nei primi due anni di vita. I finanziatori, di norma, sono grandi imprese attive nei settori del gas, dell’energia e delle telecomunicazioni, spesso legate alle attività di Snam, promotrice di vari progetti, direttamente o attraverso sue controllate. A partire dalla firma del protocollo di Kyoto del 1997, la comunità internazionale ha sviluppato l’idea che il valore più utile per misurare l’impatto dei progetti sia la quantità di CO2 emessa e assorbita. Anche Arbolia, presentando i suoi progetti, comunica in primis questo valore. Ma all’interno degli accordi internazionali esistono sia progetti certificati da agenzie indipendenti sia quelli promossi al di fuori di una vera e propria certificazione. “Ed è in questa seconda categoria che possiamo includere i progetti di Arbolia” spiega ReCommon.
L’enorme gap tra emissioni e assorbimento – Osservando gli indicatori quantitativi utilizzati da Arbolia, secondo una metodologia sviluppata con l’Università della Tuscia, il progetto caratterizzato dai più alti valori di assorbimento di CO2 è quello di Fano: 5mila alberi distribuiti su quasi 4 ettari che porteranno al sequestro di 678 tonnellate di anidride carbonica in 20 anni. Per l’assorbimento di PM 10, spicca il progetto di Taranto nel quartiere Paolo VI, in cui la riforestazione di quasi 3 ettari consentirà di assorbire fino a 12,7 tonnellate di PM10 all’anno. “Per dare un ordine di grandezza – spiegano i ricercatori – secondo la Banca Mondiale (2020) ogni persona in Italia emette circa 5 tonnellate di CO2 all’anno, mentre mediamente un progetto di Arbolia assorbe 13 tonnellate di anidride carbonica all’anno. Semplificando, potremmo dire che tutte le attività di Arbolia riescono a compensare le emissioni annuali di meno di 70 persone in Italia”. Nel dossier si sottolinea anche il gap tra le ‘compensazioni’ e le emissioni delle società che finanziano i progetti di Arbolia. “Il problema non è la forestazione in sé, che nelle aree urbane di norma male non fa. La questione critica – spiega a ilfattoquotidiano.it Valerio Bini – è che l’impatto positivo di questi interventi viene presentato come certo e rilevante quando invece è ipotetico ed estremamente limitato, soprattutto se comparato con le emissioni prodotte da Snam, peraltro in notevole aumento”. Tra i casi più emblematici, quello del rigassificatore di Livorno, per il quale la società OLT Offshore LNG Toscana (per il 49% in capo a Snam,) dichiara emissioni annuali di gas serra pari a 74mila tonnellate per il 2021. Questo a fronte di due progetti di riforestazione a Pisa e nella stessa Livorno finanziati da OLT, che sono in grado di assorbire complessivamente una media di 20 tonnellate di gas all’anno. “Significa un insignificante 0,027%” spiega la ong, secondo cui “l’assunto di base è che i danni ad ambiente e comunità prodotti da un intervento pubblico o, più spesso, privato – scrive ReCommon – anziché evitati possano essere riequilibrati da interventi di uguale valore in un’altra parte del pianeta, ma i luoghi non sono tutti intercambiabili”.
Gli elementi critici della compensazione (anche urbanistica) – L’elemento più critico è legato alla difficoltà di misurare realmente l’impatto positivo o negativo di un intervento, considerando aspetti ambientali, sociali, economici e culturali. Un’altra forma di compensazione, di fatto, è la produzione di spazi di valore socio-ambientale. La legge italiana prevede un percorso specifico per la compensazione urbanistica: un’amministrazione locale può chiedere a un’impresa di realizzare opere che equilibrino l’impatto di un suo progetto. “Il caso di Arbolia non rientra in questo ambito perché le azioni sono sempre volontarie, frutto di un accordo tra un’amministrazione locale, un’impresa che finanzia l’intervento e Arbolia che lo implementa” spiega il report. Secondo l’analisi dei ricercatori, tra i 26 progetti presi in considerazione, sei sono caratterizzati da un ‘valore socio-ecologico scarso’ (poco connessi e/o poco fruibili), sei da un livello ‘intermedio’ e 14 da un livello ‘positivo’ (connessi e/o fruibili). Un’iniziativa di “valore ecologico positivo” è quella di Torino, in cui l’area forestata (di due ettari) è all’interno di un sistema di parchi, nel sud della città. “Il progetto di Pisa è un esempio tra quelli più negativi. La riforestazione – spiegano – interessa un’area larga 10-20 metri e lunga quasi un chilometro, circondata sul lato est dalla ferrovia e da una strada statale e, sul lato ovest, da un cantiere navale, un parco fotovoltaico e un piccolo canale. Il progetto si trova inserito in un contesto altamente cementificato, disconnesso dalle rare aree naturali o non edificate circostanti”.
I dubbi sulla scarsa efficacia e le accuse di greenwashing – Ma questi progetti possono essere utilizzati dal punto di vista comunicativo da amministrazioni o imprese, proprio come una sorta di indennizzo per un’opera ad alto impatto socio-ambientale. Come accaduto a San Donato Milanese e Pignataro Maggiore. Nel primo caso, un parco urbano è stato creato come compensazione dell’intervento di espansione del Policlinico privato da Snam, mentre a Pignataro nel 2021 è stata approvata la costruzione di un deposito di Lng da parte di Snam e, contemporaneamente, è stata prevista la realizzazione dell’intervento di forestazione. Un caso emblematico è proprio quello degli interventi di Livorno e Pisa, finanziati da Olt Offshore LNG Toscana, proprietaria del rigassificatore FSRU Toscana. “Finché tutto si muove su basi volontarie e senza controlli e certificazioni severe ed affidabili, i dubbi sulla scarsa efficacia di questi progetti rimangono” spiegano i ricercatori. C’è anche un altro aspetto. “La maggior parte degli interventi (circa l’80%) sono stati realizzati su terreni precedentemente adibiti ad attività agricole, prati e aree incolte” si spiega nel report. Spesso si pensa, infatti, che questi boschi vadano a sostituire “ecomostri”, parcheggi o distese di cemento. “La realtà che emerge da questo studio – conclude ReCommon – è ben diversa”.
Da Snam riceviamo e pubblichiamo:
Arbolia è una società che nasce su iniziativa congiunta di Snam e Cassa Depositi e Prestiti e dallo scorso anno è posseduta al 100% da Snam. Creata come veicolo per facilitare la creazione di boschi urbani in Italia (e anche per un’opera di disseminazione “culturale” dell’importanza delle oasi verdi) gode di piena indipendenza operativa nella vendita di servizi di piantumazione a soggetti terzi. A differenza di quanto sostenuto nell’articolo pubblicato, Snam non compensa le proprie emissioni attraverso gli interventi di Arbolia, ma ha al proposito un suo specifico e autonomo piano, che viene regolarmente comunicato agli investitori e al pubblico. I consuntivi sulle emissioni Snam relativi al 2022 citati nel medesimo articolo non solo sono ormai superati, ma nell’evidenziarli non si è tenuto conto degli effetti dell’invasione russa dell’Ucraina, che ha fatto sì che per consegnare il gas dalle nuove rotte da sud, più distanti dai centri di consumo, si sia dovuto incrementare l’utilizzo delle centrali di compressione. Nel 2023 la tendenza storica di Snam alla diminuzione delle emissioni di gas climalteranti è invece proseguita, con un calo del 10% sull’anno precedente di quelle cosiddette “scope 1” e “scope 2” del perimetro regolato e una diminuzione del 57,5% di quelle di metano (che sono peraltro pari allo 0,022% del gas immesso in rete) rispetto all’anno di riferimento 2015. Resta saldo, inoltre, l’impegno alla neutralità carbonica (scope 1 e 2) al 2040 e al “net zero” su tutti e tre gli scope al 2050.
A riprova della solidità e della misurabilità dell’impegno di Snam sul fronte della decarbonizzazione vi sono anche le certificazioni ottenute da soggetti terzi. Snam è la prima società al mondo ad essersi volontariamente sottoposta alla valutazione net zero (“Net Zero Assessment”) di Moody’s, una stima indipendente degli obiettivi dei programmi di decarbonizzazione e della capacità di implementarli. L’analisi ha mostrato che la traiettoria verso il Net Zero di Snam è coerente con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e con una proiezione di un aumento delle temperature globali tra 1,5 e 2°. Snam è stata anche riconfermata per il 2023 nel Gold Standard delle Nazioni Unite: si tratta di un riconoscimento internazionale alle aziende che si distinguono per la completezza della rendicontazione delle proprie emissioni di metano e per i target di riduzione. La totale assenza di finalità di “greenwashing” di Arbolia, infine, è ben testimoniata, ad esempio, dal lavoro con l’Università della Tuscia. Arbolia ha supportato un lavoro finalizzato a un calcolo empirico (basato sull’Italia) dell’effettivo impatto sulle emissioni che ha fornito stime molto più conservative rispetto a quelle che circolavano sul mercato. I boschi di Arbolia poi sono tutti in Italia e possono esser toccati con mano: se avesse voluto fare greenwashing, Arbolia avrebbe potuto optare per geografie più esotiche, dove fare questo tipo di controlli e di verifiche sarebbe risultato molto più difficile.
Articolo aggiornato da Redazione Web alle 15.45 del 27 febbraio 2024