Il responsabile del centro Anidra Paolo Bendinelli, accusato di omicidio colposo per la morte di Roberta Repetto, giovane donna che frequentava la sua struttura deceduta a causa di un tumore e lì operata per l’asportazione di un neo dal quale poi si sono sviluppate le metastasi, è stato assolto in appello perché “il fatto non sussiste”. I giudici hanno invece condannato il dottor Paolo Oneda, medico che ha materialmente effettuato l’operazione, riducendo la sua pena ad un anno e quattro mesi rispetto alla sentenza precedente. Con l’assoluzione di Bendinelli cade dunque l’accusa di circonvenzione di incapace. Tuttavia la sorella, Rita, impegnata in una indefessa battaglia per cercare giustizia, ha dichiarato: “Mia sorella in quel centro è stata plagiata con subdole tecniche di manipolazione mentale, sottoposta sia a turni massacranti di lavoro gratuiti che a pratiche sessuali imposte come esercizi di purificazione”.

Parto da questo doloroso epilogo, non ancora conclusivo, per una riflessione che riguarda un vulnus della legge che ravviso oggi in tutta la sua evidenza.

La Corte costituzionale ha abrogato il reato di plagio (che si verifica quando “chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla da un totale stato di soggezione”) con sentenza 8 giugno 1981. La legge si è chiamata fuori vista l’impasse di provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, il completo assoggettamento di un essere umano ad un altro. Ampia è la letteratura nel merito che dimostra quanto sia difficile fare luce in quella zona opaca che divide il libero arbitrio dall’influenza di chi, in cattiva fede, intende schiacciare e modellare il volere altrui torcendolo ai propri desideri.

Scrivono i periti del processo a proposito di Roberta Repetto:

“Appare di piena evidenza una situazione di estrema fragilità e vulnerabilità personale […] nonché la presenza di problematiche familiari irrisolte. Esiste una sostanziale concordanza in letteratura sul fatto che in una particolare condizione di vulnerabilità, quale quello della signora Repetto, sia possibile incorrere in situazioni di dipendenza psichica […] e di aspettative verso persone dotate di carisma. Si tratta di una condizione per così dire spontanea e naturale di soggezione, di dipendenza o di possibile suggestionabilità. In tale contesto non sorprendono le iniziative poste in essere dalla Repetto, apparentemente autodeterminate ma in vero prive della piena consapevolezza della loro ‘non beneficialità’ verso se stessa, quali donazioni monetarie verso il centro Anidra, pratiche sessuali tantriche per il raggiungimento del benessere psico-fisico, la sottoposizione a rudimentali pratiche pseudo-sanitarie. Tale vulnerabilità […] sfocia progressivamente nella condizione di totale dipendenza“.

La stragrande maggioranza degli uomini e donne che finisce preda dei mondi settari non presenta alcun deficit mentale: si tratta quasi sempre di persone “normali” che hanno incontrato un momento di vulnerabilità psicologica legata ad eventi contingenti o passati. Vulnerabilità psicologica, ecco il concetto chiave. La circonvenzione di incapace non comprende quella ampia fetta di popolazione che finisce nelle maglie delle sette, dei guru e dei guaritori che non si situa in nessuno dei due estremi. La legge non tiene in conto delle fragilità umane che possono condurre a stati di dipendenza e di manipolabilità mentale, senza che si instauri una dinamica di sottomissione totalizzante, come il reato di plagio prevedeva.

È proprio in questi interstizi opachi e fragili che il manipolatore si intrufola facendo leva su quel tessuto molle dell’anima, su quelle zone vulnerabili, su quelle parti intime scheggiate e ferite che possono aprire un varco nelle recondite profondità della mente umana quando essa è provata. Uno stato di acclarata vulnerabilità, anche momentanea, porta a credere in chiunque prometta rimedi immediati ad eventi drammatici della vita, quali un lutto, una malattia, una impasse economica.

Prendiamo un esempio frequente, da me osservato nella clinica: il genitore che perde un figlio. Un padre, una madre, ai quali la sorte strappa un bambino, per malattia, per incidente o per altra avversità della vita, incontrano un innominabile che li priva del plinto della loro esistenza, annichilendoli come genitori e come persone desiderose di trasmettere amore ed insegnamento. Perdere il figlio squarcia l’anima dell’uomo il quale, pur essendo dotato di logica, razionale e ancorato al principio di realtà, si scopre a volte disposto a credere a qualsiasi cosa pur di poter ravvisare un qualche segno della presenza del ragazzo scomparso.

Ed è lì che astuti e scaltri figuri, vestiti con abiti di pace e misericordia, ne annusano la debolezza intuendone la fragilità, riuscendo a cooptarlo in luoghi opachi ove si praticano rituali utili a “metterlo in contatto” col defunto, il tutto in cambio di moneta sonante. Si tratta di una totale e completa sottomissione? No, certo che no. Quell’uomo conduce una vita normale, va la lavoro, commercia con l’altro, esce a cena con gli amici. Si tratta di infermità mentale? Neanche. Ma nemmeno si tratta di una libera scelta. Si tratta di una decisione presa in un frangente grave e particolare della vita, uno strumento per allontanare un poco più in la il buio che sta per avanzare, sapendo di non avere le forze per superare un lutto. Questo vale anche per una malattia, un licenziamento, un distacco amoroso.

Ecco dove agiscono i manipolatori, sadici e predatori i quali, con fare mellifluo e benevolente, attirano nelle loro spire i malcapitati, desiderosi di potere e bramosi di denaro.

Se dunque il legislatore non può pensare di ripristinare quel reato che la Corte costituzionale eliminò dal codice penale perché indimostrabile, deve però tenere conto della fragilità della mente umana introducendo la categorie di vulnerabilità psicologica che può, in alcuni casi specifici, avere come conseguenza il rischio di manipolabilità, al contempo innalzando delle barrire protettive nei confronti dell’agire di guru e capisetta i quali si muovono lambendo la legge selezionando attentamente “prede” che uno Stato ha l’obbligo morale di tutelare.

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