di Michele Sanfilippo

Non è casuale che siano molto ben sostenuti da tutti i mezzi d’informazione più diffusi coloro che sostengono che, da quando viviamo nell’era del neoliberismo, cominciata con Reagan e Thatcher ma trionfante pressoché ovunque dopo la caduta del Muro di Berlino, l’umanità stia vivendo la sua età dell’oro. A sostegno di questo punto di vista, soprattutto coloro che hanno una formazione economica snocciolano una serie di numeri che appaiono incontrovertibili:

• nella storia dell’umanità non è mai stata prodotta tanta ricchezza;
• la mortalità infantile è diminuita moltissimo e l’età media della vita umana ha raggiunto livelli mai visti prima;
• non c’è un problema insolubile, perché il mercato e la tecnologia ci aiuteranno a risolvere qualsiasi crisi: sanitaria, ambientale o economica che sia.

Non si può negare che questi dati, raccontati così, appaiano corretti. Ma a me pare che la narrazione mainstream ci racconti solo una parte della verità e che il trucco consista nel non menzionare il lato nascosto della luna (siano sempre benedetti i Pink Floyd).

Innanzitutto gran parte del benessere di cui abbiamo goduto negli ultimi anni non è frutto diretto delle economie ultraliberiste, ma di quelle keynesiane che erano state adottate in Europa dal dopoguerra fino ai primi anni ’80 (e negli Usa anche prima da Roosevelt). Il forte stato sociale presente, soprattutto nei paesi europei, ha consentito grazie ad un’ottima sanità la diminuzione della mortalità (infantile e non). La scuola pubblica ha reso possibile l’ascensore sociale, che ha migliorato i redditi delle famiglie e ha permesso la creazione di sistemi pensionistici che hanno reso dignitosa la vita di tanti anziani. Oggi la religione del libero mercato sta gradualmente distruggendo tutti questi strumenti di welfare, ma è solo grazie alla loro (seppur residuale) esistenza che viene nascosta la sempre maggior distanza che si sta creando tra i pochi ricchissimi e i sempre più numerosi poveri della nostra società.

Un altro aspetto dell’economia neoliberista molto poco raccontato riguarda i costi che i privati scaricano sulla comunità. Si potrebbero citare, per fare un esempio, gli allevamenti intensivi che da un lato garantiscono considerevoli guadagni ai proprietari tenendo, apparentemente, bassi i costi del prodotto che arriva sulle tavole del consumatore; ma dall’altro scaricano gli enormi danni dell’inquinamento ambientale su tutta la società. Ma lo stesso potrebbe dirsi per l’agricoltura, costretta a fare un uso indiscriminato di pesticidi per tenere bassi i costi di produzione, pretesi dalla grande distribuzione, dei frutti della terra. Sappiamo tutti che, nel medio periodo, quella stessa terra diverrà una discarica per veleni, ma preferiamo non parlarne.

Abbiamo sempre fatto finta che questi costi non esistano, ma ora il cambiamento climatico ci sta dicendo che qualcuno dovrà pagarli.

Abito a Torino, una città dove l’inquinamento atmosferico è tra i maggiori al mondo, eppure i tg locali invocano un giorno di pioggia come se fosse la soluzione di tutti i problemi, ignorando (o fingendo d’ignorare) che la pioggia renderà l’aria più respirabile solo per qualche giorno ma, in compenso, andrà ad inquinare ancora di più i terreni dove la pioggia farà penetrare i veleni sottratti all’atmosfera.

Credo che sia ora di smettere di pensare solo al “qui ed ora”. Dovremmo alzare lo sguardo verso il domani che stiamo preparando per i nostri figli che mi sembra molto fosco e non solo per via dell’inquinamento. Noi comuni cittadini, oltre a cercare di agire in modo virtuoso nella vita di ogni giorno, abbiamo due leve per cercare di influenzare chi ha il potere di cambiare le cose: il potere di acquisto e il voto. Proviamo a usarli in modo responsabile.

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