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Mondiali di atletica a Roma, storia di una candidatura grottesca: la politica si ritira sul più bello (e non ha il coraggio di dirlo)

I Mondiali di atletica a Roma. I 10 secondi più importanti del pianeta sulla pista dello stadio Olimpico. L’iconica maratona fra il Colosseo e i Fori imperiali. Poteva essere un sogno. È diventata l’ennesima figuraccia. L’Italia non organizzerà l’edizione 2027 dei campionati del mondo di atletica leggera. Ha ritirato la candidatura a un passo dal traguardo, nel giorno stesso della scelta della sede, che ricadrà a questo punto su Pechino, Cina. Ma la rinuncia serve solo per mascherare la bocciatura, e non salva le apparenze. World Athletics avrebbe comunque respinto il dossier italiano, che mancava di un requisito fondamentale: il sostegno, nei fatti e non solo a parole, da parte del governo, la garanzia economica dei circa 85 milioni di euro pubblici (su 130 totali di budget) necessari all’organizzazione.

LA FIGURACCIA DELLA CANDIDATURA INCOMPLETA – È l’epilogo inevitabile del solito pasticcio tricolore. Una candidatura nata male e conclusa peggio. Come già raccontato dal Fatto, l’Italia è riuscita a presentarsi al voto finale, previsto a Glasgow alla vigilia dei Mondiali indoor, con un dossier incompleto, cioè sprovvisto della firma dell’esecutivo. E questo nonostante la candidatura fosse in piedi ufficialmente dallo scorso settembre. Nella corsa contro il tempo degli ultimi giorni, i Ministeri competenti – cioè lo Sport di Andrea Abodi e l’Economia di Giancarlo Giorgetti – hanno partorito solo una documentazione parziale, manifestando l’interesse all’organizzazione, ma inventandosi la necessità di un “passaggio parlamentare” per formalizzare l’impegno economico. Un voto in entrambe le Camere a tre giorni dalla scadenza: semplicemente impossibile. La Fidal ha sperato fino all’ultimo in un colpo di scena, ma dopo che anche nell’ultimo consiglio dei ministri la garanzia non è saltata fuori è diventato chiaro che non sarebbe mai arrivata. E così si è giunti all’inevitabile ritiro “vista l’assenza delle condizioni minime per partecipare”.

IL DOSSIER E LA CONSULENZA DI DELOITTE SUGGERITA DAL MINISTRO – Dietro questa sconfitta – perché non si può chiamarla altrimenti – c’è un mix di ritardi, pasticci organizzativi e ipocrisie politiche, col solito rimpallo di responsabilità. Prendiamo le tempistiche, ad esempio: assurdo ridursi all’ultimo momento per la verifica delle garanzie e delle coperture politiche. Pare che allo stesso Giorgetti la richiesta di una firma su un impegno comunque notevole, da circa 85 milioni, sia arrivata solo la settimana scorsa, e questo abbia fatto irrigidire il titolare dell’Economia. Abodi però lo sapeva dall’autunno scorso, quando ha richiesto l’intervento di un soggetto terzo sul dossier, la società Deloitte, dove lavora tra l’altro Luigi Onorato, fratello di Alessandro, assessore allo Sport del Comune di Roma, che siede anche nel board della Fondazione per gli Europei 2024 (e avrebbe avuto inevitabilmente un ruolo centrale per gli eventuali Mondiali). Una consulenza, insieme a quella della società WePlan, per cui la Fidal ha stanziato 65mila euro. Per poi ritrovarsi a gennaio, quando il dossier era pronto, senza la certezza della garanzia che non è mai arrivata. Adesso Onorato jr., l’assessore, accusa il governo di aver voltato le spalle alla Capitale.

DIETRO IL NO DEL GOVERNO IL FLOP SUGLI EUROPEI – Non è l’unico a pensarla così. La Federazione si sente tradita dal governo: negli ultimi anni sono stati appoggiati i grandi eventi sportivi più disparati – dalle tragicomiche Olimpiadi invernali di Milano-Cortina agli assurdi Giochi del Mediterraneo di Taranto, senza dimenticare la Ryder Cup di golf di cui al Paese è interessato ben poco – mentre viene scaricata una manifestazione che davvero avrebbe portato Roma sotto i riflettori del mondo, a fronte di un esborso tutto sommato contenuto. Il diniego apparentemente inspiegabile dell’esecutivo nasce però in realtà da lontano, e va ben al di là dei rapporti non idilliaci fra il ministro Abodi e il n.1 dell’atletica, Stefano Mei.

Gli Europei che si svolgeranno a giugno a Roma, lungi dall’essere “il miglior viatico alla candidatura mondiale”, come li ha presentati Malagò, sono stati in realtà un autentico disastro. La Fondazione fatta e disfatta per gli attriti politici in seno alla Federazione. I ritardi. La scelta del direttore generale, Paolo Carito. Il flop assoluto della comunicazione social: basti dire che la pagina Facebook ufficiale conta appena 200 like, e che il sondaggio su X del nome della mascotte ha raccolto la miseria di 36 preferenze; numeri da gara amatoriale di provincia. I dubbi sul bilancio e sui ricavi da stadio, con la vendita dei biglietti fin qui deludente. Più che la prova generale dei Mondiali, una dimostrazione di incapacità organizzativa che ha sollevato più di un interrogativo a Palazzo Chigi. Forse anche legittimamente, visto questo e altri precedenti, il governo ha perciò ritenuto non opportuno lanciarsi nell’impresa dell’ennesimo grande evento sportivo che avrebbe impegnato comunque le casse pubbliche per altre decine di milioni di euro. Però ha preferito lasciar morire la candidatura, nascondendosi dietro la scusa del passaggio parlamentare, piuttosto che avere il coraggio di bocciarla apertamente. La solita barzelletta italiana. Che non fa ridere.

Twitter: @lVendemiale