Ciò che caratterizza l’Italia rispetto al resto d’Europa in materia di traffico e mobilità sono tre fattori strutturali: un tasso di motorizzazione più elevato rispetto alla media europea, livelli di inquinamento atmosferico più elevati, e un tasso di inadeguatezza (politicamente trasversale) ad affrontare le questioni cruciali altrettanto superiore rispetto alla media continentale.

Mentre altrove si lavora per ridurre la quantità di auto circolanti, noi ci limitiamo a litigare sui limiti di velocità, come negli anni Cinquanta. Prendiamo l’ultima uscita del ministro Salvini: ha annunciato l’emanazione di un decreto per uniformare a livello nazionale i criteri autorizzativi per installare gli autovelox lungo la rete stradale. Secondo Salvini, occorre evitare l’installazione degli autovelox su strade con il limite di velocità a 50 km/h; la priorità sarebbe quella di “installarli lungo tracciati vicino a scuole, ospedali e curve pericolose”. Gran finale salviniano: “Piazzati dalla sera alla mattina su stradoni per tassare gli automobilisti hanno poco a che fare con la sicurezza”. Sarebbe utile se qualcuno spiegasse al ministro due dati abbastanza semplici: le strade con limite di velocità al 50 km/h sono strade urbane, cittadine, dense di pedoni e biciclette, quindi maggiormente richiedenti misure di controllo dei limiti di velocità; per quanto riguarda gli “stradoni” dove, secondo il ministro, negli orari notturni non esistono problemi di sicurezza, l’Istat (ente statistico che il ministro dovrebbe conoscere) ci informa che proprio nella fascia oraria tra le ore 22 e le 6 del mattino avviene il maggior numero di incidenti gravi (quasi un terzo del totale) e col maggiore indice di mortalità in rapporto al numero di veicoli circolanti.

L’inadeguatezza italiana emerge dall’affrontare il tema della mobilità e del traffico solo in termini di riduzione e controllo della velocità delle auto. Ridurre il numero di auto rimane invece un tabù. In Italia, e in particolar modo nelle aree urbane del nord, si registrano i livelli più elevati di inquinamento atmosferico e di rischi per la salute umana; e la causa principale delle concentrazioni di micropolveri e ossidi di azoto che provocano ogni anno in Italia 80.000 decessi prematuri, secondo la Società Italiana di Medicina Ambientale, è proprio il traffico veicolare. In un Paese normale un ministro si preoccuperebbe di investire nel trasporto pubblico per ridurre il traffico privato; in Italia, il ministro Salvini si preoccupa di togliere gli autovelox.

Attenzione però a non cadere nell’inutile manicheismo politico. Salvini rappresenta il bersaglio perfetto per numerosi amministratori pubblici locali e consulenti a cachet che, sul versante politicamente opposto a quello di Salvini, in materia di traffico e mobilità si limitano a vendere slogan come Salvini. E che anziché agire – ognuno nel proprio ambito di competenze – per ridurre il letale inquinamento atmosferico incentivando la riduzione dell’uso del mezzo privato a vantaggio del trasporto pubblico, preferiscono dedicarsi al “marketing green”. Il motivo è semplice: le misure davvero efficaci per ridurre il traffico privato a beneficio del trasporto pubblico sono impegnative, non semplici da avviare, non garantiscono sicure rendite elettorali; molto più semplice installare un cartello “Città 30” con foto per la stampa.

Il Centro Studi per la Sostenibilità della Lund University (Svezia) ha recentemente pubblicato un importante e dettagliato studio sulla mobilità urbana: “A dozen effective interventions to reduce car use in European cities: Lessons learned from a meta-analysis and Transition Management” realizzato da Paula Kuss e Kimberly Nicholas. Attingendo alle esperienze delle città di tutta Europa, le due studiose hanno esaminato 800 casi-studio di politiche e misure avviate dalle diverse amministrazioni comunali in ambito urbano per ridurre il traffico privato. Lo studio identifica dodici misure in grado di ridurre l’uso dell’auto e rendere sostenibile la mobilità urbana. Non vi è traccia di “Città 30” o di altre fritture d’aria: al primo posto troviamo il pedaggio urbano (efficacemente utilizzato a Londra, a differenza che a Milano); poi riduzione progressiva dell’offerta di parcheggi su strada; attivazione di ZTL; servizi specifici per la mobilità dei pendolari (incluso il car pooling); incentivi e pass gratuiti per il trasporto pubblico a beneficio di studenti e lavoratori; car sharing.

Nicholas scrive che i trasporti sono una delle principali fonti di inquinamento in Europa e queste emissioni non stanno diminuendo. “La missione dell’Ue, lanciata di recente, per avere 100 città a impatto climatico zero in Europa entro il 2030, sarà quasi impossibile da raggiungere senza ridurre il traffico automobilistico. Ridurre la dipendenza dall’auto non è solo una bella idea: è essenziale per la sopravvivenza delle persone e dei luoghi in tutto il mondo. Per raggiungere gli obiettivi di salute e clima del pianeta, le amministrazioni cittadine devono spostare le esigenze di mobilità dalle automobili ai trasporti attivi e pubblici; e, per la quota di auto che rimangono in circolazione (notare bene l’ordine di priorità, ndr) migliorarle a emissioni zero. Questa transizione deve essere rapida ed equa: i leader delle città e la società civile devono coinvolgere i cittadini per creare legittimità politica e slancio per questi cambiamenti”. A Milano, la città più inquinata, Area B è stata finora utilizzata unicamente per spingere le persone ad acquistare automobili di classi euro superiori, e il traffico anziché diminuire continua ad aumentare. Esattamente l’opposto.

Quanto è lontana Lund. Lontana da Roma, ma anche da Milano.

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