"Le brave ragazze vanno in paradiso, le cattive dappertutto" (Libreria Pienogiorno) è l'ultimo volume della psicoterapeuta Ute Ehrhardt
“La verità è che le donne sono sempre migliori di quanto credono, e sotto molti aspetti chiaramente migliori degli uomini. Ma invece di sfruttare con successo il proprio vantaggio continuano a dubitare di se stesse, a farsi spesso piccole, a lasciar andare gli uomini per primi. Questa è senz’altro una delle trappole da spezzare: perché non è che un moltiplicatore di ansie e, alla fine, un’operazione di auto-sabotaggio”.
Dieci milioni di copie vendute hanno fatto di Ute Ehrhardt una delle psicoterapeute più note e apprezzate al mondo, e di “Le brave ragazze vanno in paradiso, le cattive dappertutto” (Libreria Pienogiorno, 272 pp, € 18,90) il bestseller planetario di psicologia femminile. Un libro illuminante, liberante, diretto, che è al centro di un fenomeno di passaparola da donna a donna per una ragione precisa: sa essere straordinariamente efficace. “Ti cambia davvero la vita” ha scritto una lettrice a “Der Spiegel”, dove il saggio ha fatto segnare il record strabiliante di 107 settimane consecutive sempre al primo posto in classifica. Il punto di partenza è spazzare via il (falso) mito delle (false) “brave ragazze”: quelle che devono essere sempre modeste, disponibili, generose, che non si arrabbiano mai, che devono ascoltare tutti e mettere tutti sempre a loro agio. Non è questo che ci insegnano sin da bambine? Quello che non ci insegnano, invece, è che una cosiddetta “brava ragazza” è spesso solo una ragazza che ha paura. Ansia di non piacere, di non essere abbastanza, o di non essere come gli altri la vogliono. Timore di dire di no, per non scontentare il partner, i figli, gli amici, i colleghi, persino gli sconosciuti. Preoccupazione di non essere all’altezza, nonostante le mille attività che gestisce con successo in casa e sul lavoro testimonino esattamente il contrario. Un crogiuolo di emozioni che ci danneggiano, ci bloccano, provocano insicurezza e stress (“non per niente ansia e depressione sono più diffuse tra le donne che tra gli uomini” sottolinea la dottoressa Ehrhardt). E che ci limitano.
Quello che non ci insegnano, insomma, è che per essere felici e realizzate dobbiamo innanzitutto… smettere di fare le “brave ragazze”. “Capita sovente”, continua l’autrice, “che le donne abbiano una considerazione poco realistica della propria efficienza, così come della propria capacità di far fronte alle difficoltà. Gli obiettivi raggiunti con una certa facilità tendono a non essere tenuti in considerazione, mentre di fronte a risultati importanti ottenuti in conseguenza di un grande impegno, scatta spesso in loro un fatale meccanismo mentale: tendono ad attribuire il merito principale del successo a circostanze esterne, alla fortuna, alle coincidenze. Se al contrario accade di non centrare un obiettivo, trovano nell’insuccesso conferma di una convinzione sempre latente, cioè che non valgono abbastanza, o che altri al loro posto avrebbero sicuramente fatto meglio. Oppure se la prendono con se stesse”.
La realtà, invece, è che le donne possono contare su uno strepitoso pensiero interconnesso: “È un pensiero ‘a rete’, in contrasto con quello lineare degli uomini. Ciò significa che sanno attingere a informazioni, esperienze, sentimenti, conoscenze estremamente complesse e trarne conclusioni con una velocità mozzafiato, che poi consente loro di prendere decisioni più complete. Il pensiero a rete è molto più ricco del pensiero lineare, che procede passo a passo. Tuttavia, molte donne non ne hanno ancora riconosciuto appieno il valore. Magari sono madri di un bambino piccolo, e contemporaneamente tengono d’occhio il pupo, cucinano, organizzano il programma della settimana, studiano un opuscolo, fissano un appuntamento con l’elettricista su Whatsapp… e poi si dicono semplicemente: non è niente di che. Sarà, ma è fantastico però! E voglio conoscere l’uomo che saprebbe fare altrettanto…farlo bene, intendo. Lo stesso vale nella professione, sul lavoro”. Che la strada da fare sia ancora lunga, del resto, lo dimostrano le cifre, che continuano a rimarcare profondissime disparità di genere: in Italia 4 donne su 10 tra i 35 e i 45 anni non lavorano (contro il 15% degli uomini). E sono donne quasi tre quarti degli occupati part-time. Dati che fotografano una realtà dura da scalfire, perché, alla fine, sono i fatti a contare più delle apparenze.
“Se una trentina di anni fa le donne si sentivano troppo timide, con troppi dubbi su se stesse e magari troppo poca intraprendenza” conferma la Ehrhardt, “la situazione a prima vista oggi sembrerebbe cambiata: le nuove ragazze appaiono molto più sicure rispetto alla generazione precedente. Ma spesso riscontro una netta contraddizione tra quello che è l’atteggiamento da un lato e le reali intenzioni di realizzazione personale e professionale dall’altro. E anche nei rapporti con gli uomini questa chiara affermazione di sé sembra spesso venir meno”.
“Le brave ragazze vanno in paradiso, le cattive dappertutto” serve proprio a questo: in fondo è un prezioso, liberatorio ricettario che sa rispondere alle molteplici esigenze delle donne. “L’ho pensato quasi come fosse un libro di cucina”, conclude l’autrice. “Forse non tutte le ricette saranno esattamente in linea con i gusti personali di ciascuna, e alcune si riveleranno magari un po’ più difficili da realizzare. Non preoccupatevi, continuate a leggere con piacere: se vi rendete conto che per voi quel punto in particolare non rappresenta un problema, benissimo, proseguite tranquillamente a sfogliare le pagine. Troverete il luogo, l’argomento, in cui – con sguardo aperto alle vostre insicurezze – riconoscerete che ‘sì, qui voglio proprio cambiare qualcosa’. E spero che possiate accogliere il suggerimento che vi farà fare un passo avanti sulla strada per diventare una ragazza e una donna più realizzata, appagata, di successo, felice. Perché l’esperienza ci ha insegnato da tempo che sono le donne che non si conformano, ribelli, spavalde, a liberare tutte le loro potenzialità e a realizzare pienamente se stesse”. E mai, proprio mai le (finte) “brave ragazze”.