Il 29 febbraio è la Giornata Mondiale delle Malattie Rare, un evento che mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle patologie che colpiscono in Europa quasi una persona ogni 2mila. In Italia ci sono circa 3 milioni di donne e uomini che convivono con una malattia considerata rara. Il 25 per cento di loro è costretto ad aspettare dai 5 fino ai 30 anni per ricevere la conferma di una diagnosi specifica, 1 su 3 deve spostarsi in un’altra Regione per riuscire ad ottenerla. Le malattie rare ad oggi conosciute sono circa 8mila e sono in genere gravi, spesso croniche, a volte progressive, non facilmente diagnosticabili. Circa il 30 per cento delle persone con malattie rare, infatti, non riceve una diagnosi e rischia di convivere con una patologia che resterà per sempre senza nome. Spesso i diritti di queste persone non sono garantiti, come ad esempio la possibilità di ricevere adeguate cure sociosanitarie a casa, l’assenza di sostegni economici e tutele giuridiche per i loro caregiver, la mancanza di una presa in carico multidisciplinare, oltre a dover affrontare molteplici ostacoli burocratici e amministrativi, inadeguata inclusione lavorativa e scolastica.
“In Italia per le persone con malattia rara c’è ancora tanto da fare a partire dal piano normativo”, afferma a Ilfattoquotidiano.it Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice dell’Osservatorio Malattie Rare. “C’è, ad esempio, il Piano Nazionale Malattie Rare: il testo è stato approvato dalla Conferenza Stato-Regioni a maggio 2023 e, come annunciato dal sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, i primi 25 milioni di euro sono stati ripartiti tra le Regioni per mettere in campo l’azione profonda che il piano prevede per il miglioramento dell’approccio, presa in carico e cura dei pazienti con patologia rara”, aggiunge Bartoli. “Per il 2024 sono previsti altri 25 milioni, risorse importanti ma non sufficienti e che andrebbero rese strutturali anche nel futuro, con finanziamenti costanti e inseriti in un Fondo, senza togliere denaro su altri capitoli inerenti le persone con disabilità”.
Cosa serve e su cosa si può migliorare?
“Altro intervento necessario è l’applicazione completa del Testo Unico Malattie Rare” sottolinea la direttrice di Omar. “Mancano ancora tre atti tra decreti, regolamenti e accordi, che riguardano la definizione dei criteri e delle modalità di attuazione degli incentivi fiscali in favore dei soggetti che si occupano di ricerca, l’istituzione del Fondo di Solidarietà per le persone con malattia rara e le attività di informazione su tali patologie”. Ci sono altri aspetti su cui l’Osservatorio, che collabora con le 420 associazioni che compongono l’Alleanza Malattie Rare, pone l’accento. “In questa giornata – dice Bartoli – Vogliamo evidenziare l’importanza della diagnosi precoce, fondamentale nella gestione di una malattia rara: dalle metodiche di sequenziamento del dna di nuova generazione ai programmi di screening neonatale”. Essere a conoscenza del nome della propria patologia significa una più rapida presa in carico e, quindi, un accesso tempestivo alle terapie e un percorso di cura più efficace. “Infine altro tema molto importante”, denuncia la direttrice di Omar, “è l’opportunità di adoperarsi il prima possibile per attuare i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza: approvati dopo un percorso veramente lungo, sarebbero dovuti entrare in vigore lo scorso gennaio, ma sono poi slittati al 1° aprile e non è detto che venga rispettato questo termine”.
L’origine delle patologie rare
La patologia rara è in almeno il 72% dei casi genetica, le altre sono il risultato di infezioni, allergie e cause ambientali, oppure sono tumori rari (dati Iss). Si ritiene tuttavia che le cause genetiche possano essere sottostimate, semplicemente perché in alcuni pazienti non sono state ancora accertate o perché con patologie ancora non del tutto note. Il 20% delle malattie rare coinvolge persone di età inferiore ai 14 anni. In questa fascia d’età, quelle che si manifestano con maggiore frequenza sono le malformazioni congenite (45%), le malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione o del metabolismo e i disturbi immunitari (20%). Per gli adulti, invece, le malattie rare più frequenti appartengono al gruppo delle patologie del sistema nervoso (29%) o del sangue e degli organi ematopoietici (18%). Le malattie rare possono dunque colpire molti organi o apparati: circa il 40% di queste patologie ha una componente neurologica. Numerosi bambini e adolescenti con malattie rare hanno disabilità motorie, neuropsicologiche e psichiatriche, alcune come esito biologico della malattia, molte altre a causa dell’isolamento sociale che sperimentano nei contesti di vita.
Le testimonianze
In occasione della Giornata mondiale delle malattie rare l’osservatorio ha organizzato una campagna chiamata “Basta essere pazienti” mettendo al centro alcuni giovani che attraverso delle breve clip video raccontano le loro esperienze.
“Quando mia madre andò a chiedere per iscrivermi all’asilo le dissero che dovevo restare a casa perché ero troppo malato, invece negli anni non ci siamo arresi e adesso mi sto per laureare in Giurisprudenza”, racconta Alessandro, 23enne con Atrofia muscolare spinale. “A scuola ho dovuto subire tantissimi problemi per l’assistenza scolastica e mi domando perché non possiamo avere gli stessi diritti degli altri studenti”, conclude. Di “disabilità invisibile”, sul piano sociale e giuridico, parla Veronica, con Pseudo-Ostruzione Intestinale Cronica. Ha un’invalidità dovuta a una patologia rara della motilità gastrointestinale, ma la sua storia non è legata a limitazioni motorie o intellettive. La ragazza si è vista ridurre la percentuale di invalidità civile e il riconoscimento delle prestazioni economiche. Anche se ha una malattia “invisibile”, Veronica si nutre in maniera parenterale, cioè con una sacca attaccata a un catetere venoso trasportata in uno zaino. La gestione della patologia risulta complessa, faticosa e lunga. “La mia vita di malata rara è una battaglia contro le istituzioni che dovrebbero aiutarmi e questo mi fa arrabbiare”, dice. Tra i protagonisti della campagna c’è anche Roberta, 25enne con Miastenia grave che ha rischiato la vita prima di giungere alla diagnosi: “Solo dopo aver smesso di comunicare, mangiare, camminare, respirare e dopo aver trascorso 45 giorni in rianimazione, ho scoperto di avere questa rara malattia autoimmune delle giunzioni neuromuscolari”. Un anno e mezzo per dare un nome alla sua patologia, scambiata addirittura per depressione, che ha poi portato Roberta ad aprirsi anche sui social per fare rete, superare il senso di solitudine e sensibilizzare le persone sulla Miastenia grave. “Voglio evidenziare a tutti l’importanza della diagnosi precoce, che significa anche un più rapido accesso alle terapie che possono salvare la vita alle persone con malattie rare”.