La Tunisia fu usata come pattumiera di rifiuti “inesportabili” da parte di un’azienda di Polla (Salerno), e per questo si sfiorò l’incidente diplomatico tra il nostro governo e quello nordafricano. Dovette intervenire il ministro degli Esteri Luigi Di Maio per calmare le acque. L’esponente del governo Draghi “il 28/12/2021 si incontrò con il presidente Kais Saied, con il Ministro degli Esteri, Othman Jerandi, e con la premier Najla Bouden Romdhane anche per convenire sul rientro in Italia dei container di rifiuti” made in Campania. Erano stati “spediti senza la regolare autorizzazione dalla S.R.A. S.r.l. a Sousse, con destinazione un opificio aziendale della società tunisina Soreplast Suarl, con l’intento di smaltirli, secondo quanto emerso dalla presente indagine, in una discarica del territorio nordafricano”. È uno dei passaggi chiave dell’ordinanza con la quale il gip, su richiesta della Dda di Potenza – procuratore capo Francesco Curcio, pm Vincenzo Montemurro – ha disposto una decina di misure cautelari con accuse di traffico illecito transnazionale di rifiuti, eseguite giovedì mattina. Ai domiciliari anche un funzionario della Regione Campania, Vincenzo Andreola, ritenuto responsabile di “omissioni e condotte ritenute, a livello di gravità indiziaria, un consapevole contributo all’illecito traffico di rifiuti”. Firmò autorizzazioni che non poteva rilasciare, per rifiuti non riciclabili, che secondo la convenzione di Basilea non potevano viaggiare all’estero, e che invece furono esportati attraverso contatti e trattative con agenzie tunisine che non avevano competenza sulla materia. Mentre un altro funzionario campano è indagato a piede libero.
Sono due le autorizzazioni regionali contestate. Ce n’è abbastanza secondo i 5 Stelle per accusare Vincenzo De Luca “di evidenti negligenze, le risultanze dell’inchiesta smentiscono le precedenti dichiarazioni del governatore riguardo alla non implicazione della Campania in tali vicende”, afferma la coordinatrice salernitana Virginia Villani. Si riferisce a quanto affermato da De Luca quando qualche anno fa esplose mediaticamente il caso, in seguito a un reportage della tv tunisina “Le quattro Verità”, prendendo le distanze da quanto denunciato in un’interrogazione consiliare dell’allora pentastellata Maria Muscarà. In Tunisia per questa storia si dimise un ministro, saltarono teste di alto livello. Qui invece pagano i funzionari pubblici che avrebbero agevolato i desiderata di imprenditori che volevano aggirare le norme sullo smaltimento, attraverso un complicato giro di intermediari, faccendieri, teste di legno. Il classico armamentario del ramo, smascherato da indagini condotte dai carabinieri del Noe di Salerno e dagli agenti della Dia di Potenza. Stiamo parlando di un traffico che nel 2020 movimentò nel Paese del Nord Africa 7.891 tonnellate di rifiuti stipati in settanta container. Monnezza che poi finiva bruciata, o abbandonata o interrata in Tunisia. Proveniva dalla Sviluppo Risorse Ambientali S.r.l. di Polla che la imbarcò su navi in partenza dal porto di Salerno, destinazione Sousse (Tunisia) “segnatamente ad una società poi rilevatasi a seguito degli accertamenti svolti dall’A.G. tunisina, priva di organizzazione aziendale, denominata Soreplast Suarl, con sede nella zona industriale”. Un guscio vuoto, senza impianti per il trattamento.
Questo giro si fondava su un contratto firmato a Polla il 30 settembre 2019 e prevedeva il trasporto di diecimila tonnellate al mese di rifiuti per un anno. Nell’intesa erano coinvolte anche due ditte di intermediazione, una con sede a Soverato (Catanzaro), l’altra in Tunisia. L’impianto tunisino che ricevette le quasi ottomila tonnellate di rifiuti fu interessato da un incendio che ne distrusse “buona parte”. In base a un accordo di cooperazione fra Tunisia e Regione Campania i container pieni di rifiuti sono stati ritrasferiti in Italia: i consulenti che li hanno esaminati hanno accertato “la non corrispondenza della qualità dei rifiuti in sequestro al codice di riferimento dichiarato dall’esportatore”. “Tutto questo”, si legge nell’ordinanza firmata dal gip Lucio Setola, “non sarebbe accaduto, se la regione Campania avesse verificato (come avrebbe dovuto fare) che nel sito web della Convenzione di Basilea sono indicate le autorità competenti di ogni Stato che vi aderisce (i cosiddetti focal point) e che per la Tunisia il funzionario ivi indicato nel focal point (…) appartiene alla DGEQV (Direzione generale per l’ambiente e la qualità della vita), che opera all’interno del Ministero degli affari locali e dell’ambiente”.
Fu invece prodotta un’autorizzazione a ricevere i rifiuti firmata da un’altra autorità tunisina, la Anged. “Era falsa, e la stessa Anged non era competente ad occuparsi dei trasporti transfrontalieri dei rifiuti”. Ma “la negligenza dei funzionari della regione Campania è andata anche oltre, poiché, indipendentemente da quale fosse stata la corretta autorità competente tunisina, se i funzionari regionali avessero svolto con meno superficialità l’istruttoria per la spedizione transfrontaliera, si sarebbero facilmente accorti che il rifiuto Cer 191212, per cui la S.R.A. chiedeva l’esportazione con destinazione recupero, in realtà non era affatto recuperabile”. Lo evidenziavano gli stessi “documenti relativi all’autorizzazione dell’impianto di Polla, che la stessa regione Campania aveva rilasciato circa un anno prima alla S.R.A. per svolgere l’attività a Polla”. Grottesco. Ma per individuare nell’Anged l’interlocutore tunisino “sbagliato”, determinante fu la “complicità del console tunisino a Napoli”. Fu lei, imputata in Tunisia per queste vicende, a confermare alla Regione Campania “l’individuazione della falsa autorità tunisina”. Nelle carte c’è traccia del suo notevole impegno in tal senso.