di Barbara Pettirossi
Ecco l’ultimo “piano Ursula” per la non pace in Europa, così come riportato nell’articolo del Fatto Quotidiano: “Ursula: Prepararsi alla guerra con più armi, come coi vaccini”. In sostanza bisogna fare come con i vaccini, unire le forze questa volta per armarsi, in un tempo che è già tardi, contro nemici in carne e ossa (leggasi “Russia”). Insomma, secondo la von der Leyen, da un lato dobbiamo produrre vaccini per salvare l’umanità da possibili pandemie, dall’altra dobbiamo mobilitarci per una guerra ipotetica in cui far scivolare l’umanità sopravvissuta al virus letale. Un giochetto perverso: ci curiamo per ucciderci meglio.
E’ il paradosso di quando le parole perdono il loro senso, o si vive così distanti dalla semplicità, o si è banalmente così ottenebrati dal potere di disporre, da confondere i piani di realtà come la salute e la malattia. E qui sta il nodo centrale: ritenere che la guerra sia uno strumento di salute pubblica e non un atto disperato da non evocare. Se mettere in conto le guerre equivale a rafforzare il proprio “sistema immunitario”, allora sono degli sciocchi quanti hanno ritenuto fino a oggi auspicabile, almeno in Europa, una pace duratura. Una leader di questo antico continente, terra che è stata anche inondata di sangue, profetizza che la pace non è permanente. Quindi, sollecitati da un simile pragmatismo, corriamo pure a produrre armi per nuovi conflitti che, pare, hanno tutti una gran voglia di combattere. Sono parole che veicolano un’idea ben precisa di mondo, in cui i popoli non dialogano, ma si minacciano e si sfidano e di tanto in tanto si lanciano qualche bomba. Tanto a morire sono i soldati, mica i capi di Stato.
L’innalzamento dei toni dei guerrafondai occidentali sono iniziati nel 2022, quando in preda allo slancio di generosità verso l’Ucraina, inviarono armi contribuendo al massacro per frenare le presunte mire espansionistiche della Russia (“fino a Lisbona” disse qualcuno). Ora che la guerra è quasi persa, siamo arrivati al delirio puro. Mentre, dai capi di questo mondo sconquassato ci si aspetterebbe l’uso sapiente della diplomazia, che non è l’arte di parlare a vanvera, ma “l’abilità di trattare questioni delicate”, la capacità di “intrattenere relazioni internazionali”, definizioni su cui si sarebbe dovuto riflettere, già dal 2014.
Possiamo affermare che la diplomazia europea ha gettato la spugna da subito e che i tentativi di Macron di dialogare con Putin sono stati evidentemente un fallimento totale. Gli “statisti” che decidono del nostro futuro non conoscono altri strumenti per governare se non quello a cui ricorrono le dittature: la forza. Quale sarà, infatti, il valore aggiunto apportato dalle democrazie quando ci trascineranno in un nuovo conflitto in cui vedremo i nostri figli morire? Il discorso di Ursula von der Leyen e l’ideona di Macron di inviare le truppe in Ucraina sono la testimonianza di quanto malandato sia il diplomatico e democratico Occidente.
Si può pensare, certo, a un esercito europeo che ci renda meno dipendenti dall’egemonia degli Stati Uniti e dalle sue dinamiche interne; conferendo all’Europa un’autonomia in tema di sicurezza rispetto al resto del mondo, così da poterci sottrarre ai ricatti dei trumpiani di turno. Ma il fatto che se ne parli ora, allo scoccare della mezzanotte, usando la pelle degli ucraini e l’incubo dell’espansionismo russo e delle dittature, dà un colpo ulteriore alla diplomazia, necessaria proprio per colloquiare con i governi autoritari e con quei paesi che vogliono ritagliarsi un ruolo nel panorama geopolitico. Invece di farsi promotrice di un mondo in cui c’è spazio per tutti (e per fare spazio bisogna indietreggiare un po’), sia pure senza cadere nell’ingenuità di rinunciare alla difesa, la von der Leyen alza il grido di guerra: “Armiamoci e partite”. Tutti contro tutti, l’umanità sprofonderà nel caos, ma questa volta è incerto se i libri di storia potranno parlare di quello che seguirà: il dopoguerra.