di Vera Cuzzocrea*
Guardiamo con preoccupazione all’aumentato ricorso alla detenzione per i minorenni che delinquono e, in generale, al cambiamento in un’ottica punitiva espresso dal cosiddetto “Decreto Caivano”. Gli stessi principi ispiratori della giustizia minorile sono per lo più traditi dal recente intervento normativo.
Il processo penale minorile, introdotto alla fine degli anni Ottanta, era l’esito di raccomandazioni internazionali e di una riflessione attenta sulla devianza e sull’età evolutiva, sulla vulnerabilità e sulle risorse da potenziare, con una centralità data alla persona e al cambiamento possibile. Un processo orientato in senso educativo sui principi di minima offensività, de-istituzionalizzazione, de-stigmatizzazione e responsabilizzazione. Pensato in coerenza non con astratte ideologie, ma con evidenze scientifiche che dimostrano l’efficacia, in termini preventivi e di riduzione dei tassi di recidiva, di strategie capaci di promuovere risorse, potenzialità, competenze e occasioni di benessere.
L’attuale intervento normativo, invece, va in una direzione opposta: inasprisce le sanzioni, rinforza il ricorso alla custodia cautelare in carcere, limita fortemente il virtuoso istituto processuale della messa alla prova (ad oggi non più esteso a tutti i reati) e abbassa i limiti entro cui è possibile ricorrere a misure di prevenzione, come ad esempio il “Daspo urbano”.
E gli effetti distruttivi già si scorgono nel dato delle presenze in carcere, come sottolinea il VII Rapporto di Antigone “Prospettive minori” sulla giustizia minorile: all’inizio del 2024 sono poco più di 500 i detenuti negli istituti penali minorili e gli ingressi in carcere in dieci anni da 992 nel 2014 sono passati a 1143. La maggior parte dei detenuti sono ragazzi di un’età compresa tra i 16 e i 17 anni e in attesa di giudizio. Poco più della metà sono stranieri, malgrado i reati vengano commessi in più del doppio dei casi da italiani. Rapina, furto, lesioni e droga sono le condotte più frequenti e il numero totale di reati in linea con quello degli anni precedenti.
Non si comprende proprio il senso di questo cambio di rotta. Gli studi non ritengono gli interventi punitivi un efficace strumento di prevenzione e trattamento della devianza giovanile. Le statistiche ufficiali, piuttosto, mostrano l’efficacia degli strumenti di messa alla prova, e chi lavora nella giustizia osserva quotidianamente la sorprendente trasformazione indotta da questi percorsi in termini di maturità, responsabilizzazione, revisione critica del danno prodotto, cambiamento positivo. Ancora più evidente nei reati gravi contro la persona, come le violenze sessuali e gli omicidi, dove ancora maggiore è l’esigenza di produrre dei cambiamenti responsabili anche a tutela della società.
La risposta della giustizia alla devianza è doverosa, ma deve essere efficace e coerente con gli obiettivi educativi. E sappiamo che funziona quando esiste un sistema familiare, sociale e giudiziario in grado di garantire al minore l’acquisizione di tutte le abilità necessarie ad affrontare la crescita e le difficoltà insite nella vita quotidiana. Abilità sociali, di comunicazione e di risoluzione dei problemi, l’acquisizione di punti di riferimento, consapevolezze, aspirazioni e valori che consentano di prevedere l’esito delle proprie azioni e costruire la speranza per traiettorie differenti.
La mancanza di un sistema di significati può portare, infatti, a una perdita della dimensione progettuale e futura della vita. Gaetano De Leo in Psicologia della responsabilità sottolineava che: “le capacità e le abilità individuali di rispondere alle norme, agli altri, alle istituzioni, sono strettamente legate alle modalità e alle qualità delle richieste/aspettative/risposte della norma, degli altri e delle istituzioni”.
In linea con il pensiero scientifico di un esperto che il processo penale minorile ha contribuito a costruirlo, l’augurio è che anziché pregiudicare le strategie di giustizia virtuose che abbiamo, vengano implementati dei programmi educativi di prevenzione primaria che sappiano rilevare ancora meglio le vulnerabilità emergenti e rafforzare risorse e competenze. E soprattutto, che l’incontro con il reato possa continuare a rappresentare, in un’ottica responsabilizzante, un’occasione trasformativa di crescita e maturazione per tutti i ragazzi e le ragazze coinvolte.
*Psicologa e psicoterapeuta