Fa discutere la proposta del ministro dell’Istruzione e del merito, il leghista Giuseppe Valditara, di organizzare “classi di accompagnamento con docenti specializzati e una didattica potenziata” per i ragazzi immigrati che presentano deficit nella lingua italiana. L’idea, volta a combattere la dispersione scolastica di questa tipologia di alunni, divide gli addetti ai lavori: se l’Unione degli Studenti la definisce “estremamente razzista” e il pedagogista Daniele Novara nega che abbia “alcuna validità scientifica o pedagogica”, il mondo dei dirigenti scolastici è spaccato. La numero uno dell’Associazione nazionale presidi (Anp) del Lazio, Cristina Costarelli del liceo “Newton” di Roma, trova ad esempio che non vi sia “nulla di ghettizzante nel proporre corsi di italiano potenziato per i premi mesi” a chi arriva alle superiori e non padroneggia ancora la nostra lingua; mentre Paola Bortoletto, presidente dell‘Associazione nazionale dirigenti scolastici (Andis), invita Valditara “ad ascoltare chi sta a scuola, perché tutto ciò che serve per l’inclusione già viene fatto”.
Il ministro è partito da un’analisi dei dati: “C’è un problema di integrazione che riguarda gli immigrati di prima generazione. L’attuale sistema scolastico penalizza gli studenti stranieri, sia per quanto riguarda le performance sia per quanto riguarda la dispersione scolastica, che secondo l’Istat raggiunge tassi del 30,1% tra i giovani immigrati contro il 9,8% tra gli italiani. Guardiamo anche ai test Invalsi 2023: in italiano gli immigrati di prima generazione registrano una differenza di rendimento in negativo del 21,9%, in matematica del 13,4%”. Sulla base di questa fotografia, il professore leghista ha lanciato alcune proposte: “Ogni scuola dovrebbe verificare all’atto di iscrizione le competenze dei ragazzi immigrati. Dopodiché dovremmo lasciare alle scuole la scelta fra i tre percorsi. La prima possibilità ovviamente è quella dell’inserimento tout court nelle classi esistenti, se il tasso di apprendimento della lingua italiana è buono. Se invece ci sono dei deficit molto rilevanti dovremmo pensare a due soluzioni alternative”. Una è questa: “Il ragazzo straniero viene inserito come tutti in una determinata classe, tuttavia le lezioni di italiano ed eventualmente anche quelle di matematica le frequenta in una classe di accompagnamento”. La terza ipotesi, invece, consiste nel “seguire al pomeriggio attività obbligatorie di potenziamento linguistico extracurricolare. Ovviamente”, precisa Valditara, prima di introdurre queste soluzioni occorre avviare un confronto ampio, tenendo sempre presente che per noi l’autonomia scolastica è un punto fermo”.
Immediata la reazione dell’Unione degli studenti, che condanna la “filosofia” dietro la proposta: “Va ad allontanare e separare alcuni studenti dagli altri sulla base di un test somministrato a seconda della provenienza. Non possiamo accettare che le nostre scuole diventino luoghi di segregazione, facendola passare come metodo per garantire l’istruzione e non lasciare nessuno indietro. Nessuno studente deve essere discriminato per la propria provenienza, anzi va immaginata una didattica che individuando i punti di forza di ciascuno riesca a mettere al centro un modello partecipato da tutti in maniera attiva”. Frasi alle quali Valditara ha voluto rispondere: “Spiace vedere le mie parole così gravemente e strumentalmente fraintese, perché il mio progetto, al contrario di quanto viene sostenuto, va esattamente nella direzione di una piena integrazione che salvaguardi tempi e qualità di apprendimento di tutti gli studenti, senza nessuna ghettizzazione. Per questo ritengo che le osservazioni dell’Unione degli studenti, peraltro espresse con toni gratuitamente offensivi, siano molto lontane dalla realtà dei fatti”. Quelle affermazioni, però, sono condivise anche da un pedagogista come Daniele Novara: “È con stupore che ho appreso di come il ministro, prendendo spunto da alcune vecchie idee mai davvero messe in pratica, pensa che sia giusto relegare i bambini stranieri in una sorta di camera stagna. È risaputo che i bambini non madrelingua imparano rapidamente se immersi in un contesto linguistico italiano. Si chiama full immersion mimetica ed è strettamente legata alla compresenza dei compagni”, spiega al fattoquotidiano.it.
La pensa così anche Paola Bortoletto, la presidente dell’Associazione dirigenti scolastici: “Il ministro forse non sa come funziona nelle scuole che già lavorano per l’inclusione degli alunni stranieri. Si cerca di dare una prima alfabetizzazione, ma poi vengono inseriti in classe, perché devono vivere la relazione anche nei momenti ricreativi. La lingua si impara anche stando con gli altri, non solo con l’aiuto di persone competenti. Valditara ascolti chi sta tra i banchi e tragga le migliori soluzioni”, dice. Sulla stessa linea Alfonso D’Ambrosio, preside dell’istituto comprensivo Lozzo Atestino, nel Padovano: “Le linee pedagogiche suggeriscono di tenerli in classe. In matematica si integrano subito, perché non serve la semantica, ma anche chi arriva e non sa la lingua, nel giro di due-tre mesi, stando con gli altri, la apprende facilmente. Creare classi di accompagnamento, come le definisce il ministro, è sconsigliato. Già oggi, semmai, la legge prevede se necessario che un alunno proveniente da un altro Paese possa essere iscritto a una classe inferiore”. Dalla parte del ministro, invece, si schiera l’Associazione nazionale presidi: “Le parole di Valditara sono state nettamente strumentalizzate“, dice Cristina Costarelli del “Newton”. “Da noi, al liceo, ci ritroviamo ragazzi di 15-16 anni che spesso non sanno una parola d’italiano. Prevedere per loro dei corsi ad hoc non è ghettizzarli ma è dare loro la possibilità di comunicare, di sentirsi davvero parte della classe. Ben venga la proposta del ministro e ben vengano risorse per fare tutto ciò”. Intanto nel tardo pomeriggio anche si è fatta sentire anche la Federazione lavoratori della conoscenza (Flc), il sindacato di categoria della Cgil: “Un modello che sa di esclusione”, ha definito l’idea del ministro.