Cultura

Karoline von Günderrode e lo straziante coraggio dell’amore (traduzione di Antonio Devicienti)

Karoline von Günderrode (Karlsruhe, 1780 – Winkel, 1806), figura d’intellettuale emancipata e appassionata, discendeva da una famiglia d’antica nobiltà dell’Assia caduta in miseria e studiò in un istituto femminile le cui regole le andarono subito strette. Karoline nutriva una passione totalizzante per la poesia e per la letteratura (conobbe i protagonisti maggiori di quei decenni cruciali per la poesia e la cultura tedesche) e non accettava in alcun modo il ruolo di donna sottomessa. Altrettanto travolgenti furono i suoi amori: per il giurista e filosofo Friedrich Carl von Savigny, poi per il filologo Friedrich Creuzer; quest’ultimo, sposato, interruppe la propria relazione con Karoline quando, gravemente ammalatosi, fu assistito fino alla guarigione dalla moglie – al corrente del legame amoroso tra i due – e la poetessa decise allora di pugnalarsi sulle rive del Reno.

Dal lascito poetico di Karoline ho tradotto (ponendole in apertura e in chiusura della brevissima silloge) un testo dedicato all’Egitto e uno al Caucaso, luoghi emblematici per il Romanticismo tedesco, in quanto lì si manifestano le forze primordiali della natura. A riprova degli interessi per la mitologia, ho scelto Arianna a Nasso, che affida alla protagonista femminile lo straziante coraggio d’incarnare la sofferenza d’amore e che sembra prefigurare il suicidio di Karoline; irrinunciabili i versi dedicati al rosso della passione e all’amore cantato con modernissimo gusto per l’ossimoro. Originale il testo sul volo in mongolfiera, che esprime l’empito romantico per l’infinito, e colmo d’ammirato entusiasmo quello consacrato al campione del Romanticismo tedesco, Novalis.

A.D.

***

L’Egitto

Azzurra la curvatura del mio cielo,
mai tramutata in pioggia,
né transitata da nubi,
mai rinfrescata dalla rugiada serale.

I miei torrenti scorrono pigri,
ingoiati spesso lungo il corso
dalla sabbia assetata del deserto
nell’incendio del lungo mezzogiorno.

Il mio sole, fuoco bramoso,
mai attenuato da veli di nebbia,
mi attraversa le midolla e le ossa
fin dentro la mia vita abissale.

Nel sonno pesante giacciono le forze,
divorati i succhi vitali –
cullato in sogni febbrili
percepisco ancora il mio esistere – ma a stento.

Arianna a Nasso

Abbandonata sugli scogli di Nasso piange la figlia di Minosse.
La sua ardente preghiera raggiunge l’orecchio degli dèi.
Giù dal trono il figlio di Crono scatena i suoi fulmini
per assumerla nell’immortalità dei cieli.

Poseidone, acceso d’amore, già spalanca le braccia,
la vuole avviluppare nella notte dei flutti.
Ascenderà all’immortalità la figlia di Minosse?
Oppure andrà, uguale alle ombre, nell’oscuro Orco?

Arianna non indugia: si getta tra le onde:
la sofferenza dell’amore tradito non diventerà immortale!
La pena non si spingerà fino al destino degli dèi,
la ferita del cuore si rinchiude volentieri dentro la notte tombale.

Amore

O ricca povertà! nel donare – beato ricevere!
Nella ritrosia – coraggio! libera – eppure in carcere.
Lingua muta, timida al chiarore del giorno
ma vittoriosa seppur spaventata.

Morte vivente – congiunzione di vita beata –
dissipatrice nel bisogno, arresa nell’opporsi,
piacere nella nostalgia, mai sazia di contemplare
la vita nel sogno – e doppiamente vita.

Il pilota della mongolfiera

Ho viaggiato nella navicella oscillante
sopra l’Oceano bluastro
trascorrente intorno alle stelle nel cielo,
ho reso omaggio alle potenze celesti.
Stavo immerso a contemplarle,
ho bevuto l’etere eterno
staccatomi del tutto dalla terra:
lassù ho riconosciuto la scrittura delle stelle
e nelle loro orbite e rivoluzioni
ho visto disegnato il ritmo divino
che, potente, ogni minimo suono
trasporta verso l’ondeggiante armonioso slancio.
Ma ahimè! vengo trascinato verso il basso,
nebbia vela il mio sguardo
e rivedo i confini della terra,
nuvole mi spingono indietro.
Ahi! la legge della gravità
afferma ora i suoi diritti,
nessuno della razza terrestre
vi si può sottrarre.

Novalis

Novalis, ai tuoi sacri sguardi di veggente
sono dischiusi gli spazi di tutti i mondi,
a te si rivela sacro quel ch’è comune –
lo guardi con profetica commozione.

Tu vedi i semi futuri delle cose
e agli eterni destini dell’universo,
che amano sottrarsi all’occhio umano,
sei condotto da sogni premonitori.

Vedi trionfare il giusto, il vero, il bello,
il tempo stesso annullarsi nell’eterno,
ed Eros calmandosi avvilupparsi all’universo;
così lo spirito del mondo – amando – si è affidato
e rivelato nel poetare di Novalis
e, come Narciso, si è visto innamorato di sé.

Sacro Rosso

Tu rosso interiore,
fino alla morte
ti sarà uguale il mio amore,
mai impallidirà:
fino alla morte,
oh tu rosso ardente,
ti sarà uguale.

Il Caucaso

Le nubi vagano attorno alle mie cime,
i venti soffiano lungo i miei pendii,
onde mi circondano come un fiume,
si accavallano e rumoreggiano, ricadono.
Trasvolano gli anni intorno alle mie tempie –
vennero l’estate, la primavera, l’inverno –
la primavera non mi riveste di verde,
l’estate non mi ha mai incendiato,
l’inverno non ha mutato il mio capo.
Alta sopra le nubi la mia cima
affondata nell’etere eterno
gioisce d’ininterrotta vita.