Dopo il calvario che ha confermato il modus operandi di umiliazione, disprezzo ed accanimento sulle vittime da parte del regime putiniano, il corpo dell’oppositore preso in ostaggio è stato restituito alla madre e un funerale per Alexei Navalny è diventato possibile. Il ricatto raccapricciante, con la minaccia di infierire sul cadavere e di seppellirlo in segreto nella prigione di morte da cui non doveva più uscire, è stato sventato in primo luogo dalla fermezza e dal coraggio della madre. La denuncia dell’intimidazione e la strenua determinazione di dare al figlio un funerale pubblico hanno prevalso sul divieto del regime.
Se è stato possibile ottenere questo obiettivo “temerario” nel clima di tensione e di terrore quotidiano che la propaganda sta esasperando verso gli oppositori come nei confronti dei nemici esterni è anche grazie alla risolutezza e alla forza con cui Yulia Navalnaya ha reagito all’omicidio del marito. Consapevole di non potersi abbandonare allo strazio evidente sul suo volto si è fatta carico, già a poche ore dalla notizia, dell’enorme responsabilità morale e politica a cui non poteva sottrarsi.
Una determinazione che ha attirato su di lei le oscene definizioni di “escort politica” e di “vedova allegra” impaziente ben felice di succedere al marito, non solo da parte dello stuolo degli odiatori filo-Putin ma anche di un servo istituzionale dello zar come Dimitry Medvedev a cui la donna ha risposto con molta chiarezza solo indirettamente invitando tutti quelli che l’hanno difesa ad ignorare “una nullità” e ha voluto piuttosto fissare una fondamentale priorità: “Scrivete che Putin ha ucciso Alexei. Scrivetelo ogni giorno con tutta la forza necessaria”.
Al di là della causa ultima della fine annunciata e dilazionata di Navalny, quando stava per essere scambiato con un sicario di Putin in carcere in Germania per omicidio, la totale opacità e le contraddizioni sulle ultime ore, il macabro balletto del Cremlino sul suo corpo, le pressioni terribili per tenere segrete le sue esequie confermano quanto continui a fare paura anche da morto.
Putin si è trovato nell’impossibilità di realizzare l’umiliazione barbarica nei confronti della sua vittima “eccellente”, che doveva includere anche la privazione di una degna sepoltura e del saluto che i vivi tributano ai loro morti, solo per la forza di un fronte che include oltre i familiari la portavoce e i militanti della sua Fondazione, i cittadini russi che sfidando le autorità hanno portato fiori e acceso lumini, la comunità internazionale dell’Occidente dove i funerali non vengono negati a nessuno.
Ma quel tentativo non andato a “buon fine” rimane una nefandezza che non potrà essere cancellata, qualcosa di difficile da immaginare anche per i pochi che avevano colto da tempo i segnali della “perversione intrinseca”, del sistema putiniano. Qualcosa che colloca quel regime in un ambito di pura criminalità, da cui è esclusa qualsiasi traccia di dimensione politica.
Lo stesso concetto che ha espresso in modo estremamente netto Yulia Navalnaya al Parlamento europeo, quando ha definito quella insediata al Cremlino “una cricca mafiosa al potere”, e ha precisato che su ordine di Putin “Alexei è stato torturato per tre anni[…] poi lo hanno ucciso. Dopo hanno abusato del suo corpo e di sua madre”.
A poche ore dalle minacce sullo sfracello nucleare originato dalla corsa agli armamenti dell’Occidente, fulcro propagandistico del discorso alla nazione di Putin in vista della sceneggiata elettorale del 17 marzo, tra mille ostacoli e sfidando il divieto del Cremlino, due o tremila persone hanno voluto salutare Alekei Navalny scandendo: “Tu non hai avuto paura e noi non abbiamo paura“.
Questi cittadini hanno raggiunto per tempo il distretto della periferia sud di Mosca dove si trova la piccola chiesa dell’Icona della Madre di Dio, presidiata come il cimitero dal giorno prima da agenti in tenuta antisommossa che controllano, ispezionano, perquisiscono e non si sono lasciati intimidire dall’avviso delle forze di polizia, ribadito da Dimitry Peskov che partecipare è un reato.
Il cimitero come la chiesa sono stati blindati, persino trovare un carro funebre sembrava impossibile perché gli autisti sono stati pesantemente minacciati mentre la loquacità sfrontata del portavoce di Putin nel giorno che “la cricca mafiosa al potere” ha tentato di evitare con ogni mezzo si è esaurita: “Il Cremlino non ha niente da dire alla famiglia Navalny il giorno del suo funerale”.
Come ha scritto Josep Borrell, alto rappresentante Ue per la politica estera, mentre l’ambasciatore dell’ Eu e gli altri diplomatici europei presenziavano alle esequie, “le convinzioni di Navalny non scompariranno: le idee non possono essere torturate, avvelenate o uccise. Rimane un’ispirazione per molti in Russia e altrove”. E sarebbe auspicabile, anche se purtroppo improbabile, che le battaglie sue e degli oppositori russi in carcere solo per aver criticato “l’operazione speciale” fossero “di ispirazione” per i troppi pacifisti italiani ben più ostili a Zelensky e all’Europa che Vladimir Putin.