Bulimico e conservatore. Così si presenta il Circus di Formula 1 all’inizio della stagione 2024. Cambiamenti e novità non mancano, peccato che non includano quegli ambiti dove i cambiamenti servirebbero davvero, vale a dire gli aspetti sportivi e di competitività anziché quelli più legati al business. Precisazione doverosa: il business è una componente necessaria nello sport contemporaneo, non c’è dubbio che l’operato di Liberty Media abbia contribuito a rendere la Formula 1 sempre più appetibile e popolare. Il rovescio della medaglia è però rappresentato dall’approccio esageratamente speculativo, talvolta antitetico ai valori dello sport, delle politiche attuate dalla società americana con sede a Englewood. Un mondo sportivo nel quale i principali protagonisti, ovvero i piloti, sono anche i soggetti meno interpellati, quando non bellamente ignorati, nel corso del processo decisionale.
Primo esempio, facilmente individuabile anche dall’appassionato meno attento: il numero di Gran Premi, aumentato quest’anno da 22 a 24, con prospettive di ulteriori incrementi negli anni successivi, quando verrà ridiscusso (nel 2025) il Patto della Concordia e potrebbe essere ritoccato il limite vigente delle 24 gare. Del resto, tra il rinnovo dei contratti delle piste storiche e i nuovi ingressi (tra due anni ci sarà il GP cittadino di Madrid), risulta sempre più difficile accontentare tutti. Anche perché chi non ha storia il posto se lo può comunque comprare: annualmente gli organizzatori dei GP di Azerbaigian, Arabia Saudita, Qatar e Bahrain pagano tra i 57 e i 52 milioni di dollari. Monza e Imola, per fare un raffronto, oggi ne sborsano 25, Spa 22, Montecarlo 20. Tra il ritorno di Kyalami, la citata Madrid, le proposte Kuwait, Panama City e un secondo circuito saudita, le richieste sono in costante aumento. “E’ esattamente ciò che chiede il mercato”, ha commentato il CEO di Liberty Media Stefano Domenicali, “e bisogna tenere il passo con gli altri grandi sport”. Con buona pace dei piloti, vittime designate di questa tendenza ipertrofica, anche a causa dello scarso peso della loro “associazione di categoria”, la Gpda (Grand Prix Drivers Association). Perché in nessun altro sport individuale è necessaria la presenza a tutti gli eventi come in Formula 1 (o nel Motomondiale). E quest’anno i giorni di attività, ferie di agosto escluse, saranno 284.
Un’altra cosa che i piloti non amano sono le sprint race, mini gare il cui focus, come ammesso una volta da Max Verstappen, non è tanto indirizzato alla vittoria o al piazzamento a punti finale, ma a conservare la macchina per la gara del giorno dopo. Sono rimaste sei anche nel 2024, ma è stato cambiato il format, con anticipo della Sprint Shootout il venerdì pomeriggio e della Sprint il sabato mattina, per lasciare posto alle qualifiche per la gara domenicale il sabato pomeriggio, come avviene in tutti i GP per i quali non è prevista la citata mini corsa. Roba irrilevante, gattopardismo che finge innovazioni quando in realtà non cambia nulla. Un po’ come i “nuovi” team, con i nomi che sembrano una via di mezzo tra un codice di avviamento postale e un catalogo Postalmarket: Visa Cash App Racing Bulls, Stake F1 Team Kick Sauber. Non è questione di nostalgia per la Minardi, la Toro Rosso o l’Alfa Romeo (anzi, da questo punto di vista la livrea verde fluo della Stake è notevole). Il punto è che questo risulta essere l’unico cambiamento della F1 nel roster 2024.
Per la prima volta in 74 anni infatti il campionato inizia con gli stessi piloti, gli stessi numeri e il medesimo numero di team della stagione precedente. Puro conservatorismo, nel nome del mantenimento di uno status quo economicamente redditizio che sembra piacere molto anche alle scuderie. Contratti lunghi e blindatissimi, mercato piloti di fatto azzerato e conservazione del posto assicurata anche dopo una pessima stagione alle spalle, come quelle disputate da Logan Sargeant su Williams e Guanyu Zhou su Alfa Romeo, anche solo in relazione al ruolino dei rispettivi compagni. Ma per un americano in F1 Liberty Media farebbe carte false, nonostante i milioni di dollari in danni materiali causati alla Williams (la quale però nel 2023 ne ha incassati 80, ovvero 20 in più del 2022, quindi il problema non sussiste), così come un driver cinese a livello di mercato e di sponsor conserva sempre il suo perché. Con buona pace dei vincitori del campionato di F2, nessuno dei quali (Oscar Piastri, Felipe Drugovich, Theo Pourchaire) negli ultimi tre anni è riuscito a compiere il salto diretto nella categoria superiore. L’imbuto si fa sempre più stretto ed essere bravi non basta più se i criteri di valutazione sono commerciali piuttosto che sportivi.
Eppure i presupposti per un vero cambiamento ci sarebbero tutti, con l’ingresso dell’undicesimo team facente capo a Mario Andretti e alla Cadillac, quindi General Motors. Ma la mentalità da club privè esclusivo, nel quale della torta sempre più ricca non devono essere lasciate nemmeno le briciole a un altro soggetto, ha respinto tutto al mittente. Con motivazioni da teatro dell’assurdo, tutte opera di Liberty Media, visto che la FIA è favorevole all’allargamento del numero dei costruttori. La prima: “Il modo più significativo con cui un nuovo concorrente apporterebbe valore è quello di confermarsi competitivo, in particolare lottando per il podio e la vittoria nei Gran Premi”. Ovvero quello che, a livello di podio, non hanno fatto nelle ultime tre stagioni né Haas, né Alfa Romeo-Sauber, né Williams, tutte a quota zero, mentre poco sopra c’è l’Alpha Tauri, con un podio nel 2021. La seconda riguarda invece la volontà del Team Andretti debuttare con un motore “da cliente”. Proprio quello che fanno già Haas e Sauber con la Ferrari, e Aston Martin, Williams e McLaren con la Mercedes.
Infine, sempre in tema di ciò che servirebbe davvero cambiare ma che non interessa farlo a chi ha più a cuore Netflix rispetto alle questioni tecniche, vale la pena citare una dichiarazione rilasciata da Fernando Alonso la scorsa settimana. “Avremo una sessione di test molto limitata in Bahrain. Ho pensato tutto l’inverno a questo, a quanto sia ingiusto avere solo un giorno e mezzo a testa per preparare un campionato del Mondo. Non c’è nessun altro sport al mondo dove questo accade”. Poi una volta che si riaccenderanno i semafori ci si dimenticherà tutto, specialmente – qui in Italia – se in pista ci sarà una Ferrari competitiva. Però la corda è molto, troppo tirata.