Ha accettato la promessa di soldi e voti in cambio dell’impegno a favorire la scarcerazione del figlio di un boss mafioso. Con questa accusa questa mattina i carabinieri di Siracusa hanno arrestato Giuseppe Sorbello, detto Pippo, ex assessore regionale dell’Udc ed ex sindaco di Melilli. C’è anche il politico che ha seduto all’Ars dal 2012 al 2017 tra i 12 arrestati del blitz antimafia contro il clan Nardo, eseguito nell’ambito dell’inchiesta coordinata dai magistrati della terza area della Procura distrettuale di Catania. Sorbello è accusato di scambio elettorale politico-mafioso: alle amministrative a Melilli del 2022, “avrebbe accettato la promessa di ottenere voti in cambio di denaro e dell’impegno a operarsi per agevolare la scarcerazione del figlio di un affiliato”. Le elezioni furono poi vinte dall’attuale sindaco, Giuseppe Carta, deputato regionale del Mpa.
Non è la prima volta che Sorbello viene coinvolto in un’inchiesta: già nel 2012 venne indagato con l’accusa di voto di scambio dalla Procura distrettuale antimafia di Catania. In quel periodo ricopriva proprio la carica di deputato regionale e in seguito all’avviso di garanzia si dimise dal ruolo di vicecapogruppo dell’Unione di Centro all’Assemblea regionale siciliana. All’epoca Pippo Sorbello si dichiarò “estraneo ai fatti che mi vengono contestati” e nel 2018 venne assolto.
Il blitz antimafia
In tutto sono appunto dodici le persone arrestate, 10 in carcere e 2 agli arresti domiciliari, accusati, a vario titolo, di scambio elettorale politico/mafioso, estorsioni, detenzione di armi e stupefacenti, introduzione in carcere di dispositivi telefonici, con i quali dalle celle gestivano i loro affari. Gli arrestati sono considerati organizzatori ed affiliati al clan Nardo, operante nell’area nord della provincia di Siracusa e ritenuta costola della famiglia di cosa nostra catanese “Santapaola Ercolano“.
Avvalendosi della forza di intimidazione, gli arrestati, secondo quanto emerso nell’indagine, erano riusciti ad acquisire, in modo diretto e indiretto, la gestione o comunque il controllo di numerose attività economiche e imprenditoriali, prevalentemente nel settore agro-pastorale, nell’area nord della provincia siracusana. Secondo gli inquirenti, i componenti del clan avrebbero minacciato “anche dall’interno degli istituti di pena, utilizzando illecitamente telefonini, chi si fosse rivolto alle forze dell’ordine, per denunciare un’estorsione o una minaccia subita, occultando armi ad alto potenziale offensivo, smerciando stupefacenti del tipo cocaina e marijuana, gestendo una florida piantagione composta da ben 731 piante“.
Sono stati ricostruiti numerosi episodi di estorsione commessi dagli indagati che “mediante minaccia e avvalendosi della forza di intimidazione, avrebbero costretto diversi imprenditori agricoli o esercenti commerciali a fornire somme di denaro o generi alimentari senza corrispettivo, pagare un servizio di ‘guardiania’ per i propri terreni agricoli, sui quali sarebbero stati anche obbligati a tollerare il pascolo di capi di bestiame riconducibili agli associati, subire il cosiddetto ‘cavallo di ritorno’ per la restituzione di escavatori ed altri mezzi oggetto di furto“.