Torna a riaffacciarsi l’antica questione del “vero” volto di Dante Alighieri, morto il 14 settembre 1321 a Ravenna. Una storia infinita, che abbraccia diverse discipline (storia, storia dell’arte, antropologia, medicina, grafica computerizzata) e il cui capitolo ulteriore – l’ultimo in ordine di tempo – è stato scritto dall’esperto di grafica brasiliano Cicero Moraes, insieme al suo team dell’Università Federale di Uberlândia in Brasile.
I risultati della nuova ricerca, pubblicati lo scorso 28 febbraio su Focus.it, riaccendono una mai sopita polemica perché contrastano con quanto affermato alla fine del 2021 da Chantal Milani. L’antropologa e odontologa forense, esperta di riconoscimento facciale e ricostruzione 3D e da anni consulente per procure, tribunali e forze di polizia nei casi di interesse giudiziario, in collaborazione con Giorgio Gruppioni, già professore di Antropologia presso l’Università di Bologna, aveva lavorato al progetto di Ricostruzione facciale forense per il volto di Dante Alighieri. Ma secondo Moraes e il suo team Dante Alighieri non avrebbe avuto il naso aquilino e il suo mento non sarebbe stato così pronunciato come siamo abituati a vederlo raffigurato oggi, cioè tutto l’opposto rispetto a quanto rivelato dalla dottoressa Milani anni fa.
E allora? Chi ha ragione? Difficile stabilirlo, e già alla fine del 2020 era stata sollevata la questione della vera fisionomia del volto dantesco, considerato che sette secoli fa non esistevano macchine fotografiche e che tutti i ritratti di Dante attualmente noti sono postumi, cioè realizzati dopo la sua morte, quindi frutto di “racconti”, magari tramandati di generazione in generazione, ma non attendibili al 100%. E anche tra quei ritratti vi è una notevole varietà di raffigurazioni.
Il tradizionale volto di Dante – quello con naso aquilino e mento acuto – è in larga parte frutto dell’iconografia Rinascimentale che a sua volta derivava della biografia del Sommo Poeta scritta da Giovanni Boccaccio, il quale non incontrò mai l’autore della Divina Commedia, ma lo descrisse “come un individuo di media statura, un po’ curvo, con il viso lungo, il naso aquilino e gli occhi grandi”, evidentemente basandosi su testimonianze di persone che avevano conosciuto Dante.
Da lì in poi è stato un florilegio di ritratti di Dante in cui l’immagine tipica si è standardizzata e la tematica è diventata di pertinenza della storia dell’arte. Anzi, in qualche caso, sono stati proprio quei tratti somatici (errati?) a spingere verso l’identificazione di Dante in talune figure che fino a quel momento erano ignote. Come accadde alla parete della Cappella del Podestà nell’attuale Museo Nazionale del Bargello di Firenze che, scialbata (cioè coperta) nel 1570, solo nel 1840 tornò alla luce rivelando la presenza di alcune figure (dipinte da Giotto e dai componenti della sua bottega tra il 1330 e il 1337, nell’ambito di un ciclo di affreschi dedicati al Giudizio Universale), tra le quali si volle identificare Dante, che appare ovviamente con un naso lungo e ben appuntito. Solo che l’identificazione avvenne nella prima metà del XIX secolo e nel 2020 Silvia Diacciati, studiosa dell’immagine di Dante, in uno studio serio e approfondito, mise in forte dubbio proprio quell’identificazione dantesca.
A rendere ancora più complicata la vicenda, a poche decine di metri dal Bargello, vi è un’altra raffigurazione di Dante – questa volta la più antica documentata – realizzata dopo il 1366 su una parete della sala delle udienze del palazzo che ospitava l’Arte dei Giudici e Notai, che oggi purtroppo è un ristorante ittico. In quel ritratto vi è raffigurato certamente Dante Alighieri e ha sì il naso lungo, ma non aquilino, e la fronte non appare accigliata. Insomma, è un Dante ben diverso dall’iconografia che avrebbe preso campo dal XV secolo in poi.
Ma allora perché ancora oggi si discute sul vero volto di Dante? Perché per tutte le nuove ricerche il punto di partenza sono le fotografie del cranio (senza mandibola) di Dante Alighieri – effettuate durante la ricognizione delle ossa del 1921 (che seguì il ritrovamento delle ossa di Dante a Ravenna nel 1856, data in cui presero il via gli studi scientifici per la ricostruzione anatomica) – e la prima elaborazione dei tratti del volto di Dante grazie all’anatomista Fabio Frassetto.
Oggi come ieri, tutti partono da quelle immagini e dal calco effettuato sulle ossa, ma onestamente viene da chiedersi perché tre anni fa, in occasione del settimo centenario della morte di Dante, non sia stata organizzata una nuova ricognizione delle ossa del Poeta, nonostante oggi le tecnologie siano ovviamente più avanzate di 100 anni fa e potrebbero agevolare non poco lo scioglimento di tanti dubbi intorno al Poeta (basta pensare a un esame del C14 per confermare con buona approssimazione l’età delle ossa conservate nel capoluogo romagnolo), così come aiutare quegli studiosi che, grazie a procedure di ricostruzione antropologia o di grafica computerizzata, volessero cercare di ricostruire più fedelmente i connotati del Sommo Poeta.
Tuttavia, già il fatto che a quel cranio conservato nel sepolcro di Ravenna manchi la mandibola, costringe gli studiosi ad affidarsi a dei modelli matematici che portano a dei risultati, talvolta diversi (come abbiamo visto) e non certi. Come dire che la verità alla fine è quella che si crede o che fa comodo far credere.