Era prevedibile che la sfida di Donald Trump per tornare alla Casa Bianca si legasse in modo inestricabile alle sue vicende giudiziarie. Quanto sta succedendo in queste ore, in questi giorni, non fa che confermare le previsioni. Da più parti si tenta di bloccare per via giudiziaria la sua avventura politica. Con ogni probabilità, niente e nessuno riuscirà però a fermarlo. A meno di clamorosi colpi di scena, ci sarà lui in lizza il 5 novembre per i repubblicani. Così vogliono gli elettori delle primarie che continuano a regalargli una vittoria dopo l’altra. Così suggeriscono gli sviluppi giudiziari che lo riguardano.
Gli ultimi a cercare di ostacolare la marcia trionfale di Trump sono stati alcuni elettori dell’Illinois, coordinati da un gruppo progressista, il Free Speech For People. Come già successo in Colorado e Maine, anche in Illinois si sono rivolti a un tribunale per impedire a Trump di apparire sulle schede elettorali delle primarie repubblicane. La ragione per cui si chiede la sua esclusione è sempre la stessa: Trump sarebbe stato coinvolto in un tentativo di insurrezione contro la Costituzione e dunque, sulla base del 14esimo emendamento, non può ricoprire cariche pubbliche. Una giudice di nomina democratica della contea di Cook, Tracie Porter, ha concordato con la tesi ed escluso Trump dalla corsa alla presidenza, almeno per quanto riguarda lo Stato dell’Illinois.
Quante possibilità ci sono che la decisione della giudice dell’Illinois incida sul corso delle elezioni statunitensi? Nessuna. Situazioni simili si sono già verificate, per l’appunto, in Colorado e Maine, dove i giudici hanno bandito Trump, e in Michigan, Minnesota, Oregon, dove invece i giudici hanno dato ragione all’ex presidente. Per normare una volta per tutte la questione, la Corte Suprema l’8 febbraio scorso ha considerato il caso e dalle domande che i giudici – sia quelli conservatori sia quelli liberal – hanno fatto agli avvocati appare molto probabile che la sentenza sarà favorevole a Trump. Il linguaggio del 14esimo emendamento, che proibisce ai funzionari del governo di assumere cariche pubbliche se essi si siano “impegnati in atti insurrezionali”, è infatti particolarmente vago. Non è per esempio chiaro se il presidente degli Stati Uniti possa essere considerato un “funzionario”. Il testo dice poi che i funzionari insurrezionalisti non possono ricoprire cariche pubbliche, non che non possano presentarsi a un’elezione. Infine, il 14esimo emendamento fu approvato dopo la Guerra Civile per evitare che politici e amministratori del Sud potessero tramare contro il governo federale. Sarebbe molto strano che una norma nata per difendere il governo centrale venga ora utilizzata per dare ai singoli Stati il potere di decidere chi può, o non può, presentarsi alle elezioni generali.
Sono queste le ragioni per cui la Corte Suprema – in una sentenza che dovrebbe uscire a giorni – darà probabilmente ragione a Donald Trump. A quel punto, tutte le decisioni sinora assunte dalle corti inferiori, compresa quella dell’Illinois, decadranno e Trump potrà proseguire in tutta tranquillità, vento in poppa, verso la conquista della candidatura repubblicana. C’è stata però in questi giorni un’altra decisione importante della Corte Suprema legata al futuro di Trump. I nove giudici hanno infatti deciso di ascoltare la causa che riguarda la richiesta di immunità da parte dell’ex presidente. Una delle basi legali della difesa è per l’appunto questa: che ogni atto da lui compiuto durante il suo mandato è coperto dall’immunità che la Costituzione riconosce al presidente degli Stati Uniti. Solo il Congresso, è la linea di Trump e dei suoi avvocati, può giudicare un presidente o un ex presidente. Non la giustizia ordinaria. Un tribunale federale di Washington, lo scorso 6 febbraio, ha stabilito che non è così e che dunque Trump può essere processato per i reati di cui è accusato, dall’insurrezione contro il Congresso al tentato ribaltamento del voto. Trump ha fatto ricorso, il caso è finito davanti alla Corte Suprema che ha appunto deciso di dare il suo parere.
Nel breve comunicato in cui annuncia la decisione, la Corte spiega di voler stabilire “se e in che modo un ex presidente gode di immunità dai procedimenti criminali per comportamenti presunti assunti durante il mandato”. Il testo è stringato e il linguaggio estremamente preciso. I giudici mostrano di limitare di molto lo scopo della loro indagine che non riguarderà dunque i poteri generali di un presidente, né le sue scelte politiche, ma atti specifici e potenzialmente illegittimi presi nel corso della sua permanenza alla Casa Bianca. Il linguaggio della Corte è rivelatore. Mostra che, con ogni probabilità, in questo caso la maggioranza dei nove giudici darà ragione ai tribunali inferiori e negherà l’immunità a Trump. Questa potrebbe essere per lui una pessima notizia, tale da far ripartire i processi a suo carico. Ma diamo un’occhiata alla tempistica. La Corte Suprema ascolterà gli argomenti pro e contro l’immunità il 22 aprile. Una sentenza è attesa poco prima della chiusura della Corte per la pausa estiva, a fine giugno.
Questo significa che i processi contro Trump potrebbero ripartire solo a ridosso delle elezioni presidenziali del 5 novembre. È realistico pensare di iniziare un procedimento penale per insurrezione nei confronti di un candidato che sta per presentarsi davanti agli elettori per tornare a fare il presidente? No, non lo è. Questo significa che, anche se il giudizio della Corte Suprema sull’immunità dovesse essere a lui sfavorevole, Trump ci guadagna lo stesso. Quello che Trump vuole – e quello che sta riuscendo a fare – è infatti rallentare i processi, nella speranza di arrivare al 5 novembre e di essere rieletto alla Casa Bianca, con conseguente archiviazione dei procedimenti giudiziari a suo carico. Come la si metta, che si discuta di immunità o di tentativi di bandire Trump dalle primarie, il risultato è sempre lo stesso. Non c’è nulla, almeno allo stato attuale, che la giustizia possa fare per sconfiggere Trump. La sua (eventuale) caduta non verrà dai tribunali. Chi ci ha sperato – tra questi, vasti settori di elettorato democratico ma anche quei repubblicani che fanno riferimento a Nikki Haley – è destinato a una cocente delusione.