In Veneto i sommovimenti interni alla Lega, iniziati qualche anno fa, ma aumentati negli ultimi tempi, stanno per produrre l’espulsione di Gianantonio Da Re. Colpa di lesa maestà nei confronti del segretario Matteo Salvini, attaccato più volte, sia dopo le deludenti elezioni comunali e politiche del 2022, che in questi giorni, a causa della sconfitta del centrodestra in Sardegna, delle nefaste previsioni elettorali per le Europee di giugno e dell’arrivo come probabile capolista del generale Roberto Vannacci. Sconfitte e scelte controverse che potrebbero essere rinfacciate al leader del Carroccio al congresso del partito: più di qualcuno vorrebbe programmarlo addirittura prima delle Europee con l’obiettivo di fare fuori il segretario. Ma proprio per evitare questo rischio i fedelissimi di Salvini adesso puntano a rinviare l’assise leghista all’anno prossimo, almeno secondo i retroscena di Repubblica. Sullo sfondo resta il tema della successione a Luca Zaia, governatore al momento non rieleggibile, visto che ha inanellato già tre mandati e potrebbe ripresentarsi soltanto grazie a una riforma delle regole, che Fratelli d’Italia e il Pd non vogliono. L’incarico di Zaia finirebbe dunque nel 2025, proprio quando i salviniani vorrebbero rinviare il congresso della Lega e dunque la resa dei conti all’interno del partito. Ma andiamo con ordine.

DA RE, L’ERETICO – Da tempo l’europarlamentare Da Re, ex sindaco di Vittorio Veneto e segretario della Lega Veneta dal 2016 al 2020, era sotto tiro. Poco importa se è nel partito dal 1982, ormai le indiscrezioni che provengono dalla segreteria regionale di Noventa Padovana sono convergenti: la procedura di espulsione è stata avviata. In ogni caso la competenza sarebbe della segreteria federale e non di quella veneta, visto il ruolo che riveste a Bruxelles fino alla prossima estate. La colpa di Da Re non è quella di aver proposto un candidato alternativo al segretario Stefani, nel giugno 2023, ma di aver criticato Salvini in modo molto pesante. Pochi giorni fa, in un’intervista a Repubblica ha dichiarato: “Il 9 giugno assisteremo a un disastro annunciato. Un sondaggio interno dà la Lega al 5,5 per cento. Il giorno dopo Salvini si deve dimettere. O il cretino se ne va con le buone, o andiamo tutti a Milano in Via Bellerio e lo cacciamo con le cattive. Ormai la pensiamo tutti così, a partire da 80 parlamentari che aspettano solo i numeri del voto per muoversi. Salvini ci ha disintegrati e deve assumersene la responsabilità”. Parole troppo forti per essere tollerate da Salvini, che non sembra preoccupato per l’anima della vecchia Liga Veneta che Da Re rappresenta.

L’ULTIMA GOCCIA – A far precipitare la situazione è stata un’altra intervista, con l’agenzia Adnkronos. Da Re ha definito la candidatura ipotetica di Vannacci come “l’idea geniale del segretario”. Ha spiegato i silenzi della Lega veneta: “Il mio è un sentimento condiviso, ma parlo solo io, perché gli altri hanno paura di non essere inseriti in lista, o quant’altro”. Sul segretario ha ribadito: “Lui ha raggiunto un risultato strepitoso, di cui gli va dato onore e merito, perché ha portato la Lega al 32 per cento, cinque anni fa. Poi non ha saputo gestire quel successo. Dopo le Europee, se il tracollo sarà pesante, sarà difficile mantenere la posizione. È vero che ha il partito blindato, perché ha praticamente tutti i commissari. Ma è difficile, perché i numeri saranno impietosi”.

IL DESTINO DEI SEGRETARI – Dovesse essere espulso, sarebbe l’ultimo di una lunga serie di segretari fatti fuori in Veneto, per essere entrati in rotta di collisione con l’anima lombarda della Lega, da sempre dominante in via Bellerio. Da Umberto Bossi a Matteo Salvini non è cambiato nulla. Nel 1996 fu fatto fuori Fabrizio Comencini, reo di intese con il nemico Silvio Berlusconi. Poi venne il trevigiano Giampaolo Gobbo, che evitando ogni conflitto, è sopravvissuto fino al 2012. Ma la stagione di Flavio Tosi segretario, mentre a Venezia comandava Luca Zaia alla prima legislatura, ha avuto la durata di un quadriennio, bruscamente interrotto nel 2016 con un’espulsione decisa perché il sindaco di Verona ambiva a diventare capo del centrodestra nazionale. Poi è toccato a Da Re, rimasto in sella fino al 2020, di fatto sfiduciato da Salvini (anche se finì eurodeputato) che voleva controllare con il pugno di ferro il Veneto. La stagione dei commissari, prima l’accomodante Lorenzo Fontana, poi il giovane Alberto Stefani, ha sancito il dominio del segretario, culminato nel 2023 con l’elezione di Stefani a responsabile regionale. Contando sull’appoggio totale della pattuglia di parlamentari veneti eletti nel 2022, il segretario ha potuto dirsi soddisfatto.

ZAIA, L’ENIGMA – Fuori dal Veneto dicono che dalla regione amministrata da Luca Zaia è partita la procedura di sfratto nei confronti di Salvini. Conoscendo il governatore è difficile pensare che lui si metterà alla testa di una fronda interna. Avrebbe potuto farlo appoggiando il suo assessore Roberto Marcato, nel 2023, alla corsa alla segreteria regionale. Non lo ha fatto, perché è parso soprattutto preoccupato di non tagliarsi i ponti che possono garantirgli la quarta candidatura sulla poltrona di doge del Veneto. Se avesse avuto velleità politiche nazionali dentro la Lega, avrebbe potuto sfruttare le batoste elettorali per i sindaci di Verona, Padova e Vicenza, o il disastro delle politiche 2022. Invece è rimasto zitto sui temi spinosi. Il massimo che ha concesso alla platea leghista riunita a Treviso pochi giorni fa è stata una frase: “C’è la Liga, c’era la Lega Nord… nome che mi piaceva decisamente di più”. È scattato l’applauso, qualcuno vi ha letto una chiamata alle armi, in nome della vecchia anima leghista. Ma il giorno dopo Zaia ha fatto sapere che non voleva attaccare Salvini. Era soltanto una battuta.

ZAIA, L’INGOMBRANTE – In ogni caso il governatore sta pensando al suo futuro. Cosa farà nel 2025 se gli sarà negata la possibilità di correre per la quarta volta in Regione? I leghisti veneti già ipotizzano la resistenza, candidando Mario Conte, il sindaco di Treviso, con Zaia a fare da sponsor e stampella elettorale. Sarebbe lo strappo con Giorgia Meloni, che vuole una regione del Nord per Fratelli d’Italia. La risposta dei leghisti: “Chi governerà il Veneto lo decidono i veneti, non Roma”. Se da grande Zaia deciderà di lanciarsi nella conquista della Lega lo si capirà dopo le Europee, ma al momento non ci sono segnali in tal senso. L’uomo è troppo prudente per esporsi. I suoi compagni di partito devono rassegnarsi: alla fine giocherà in proprio. Al momento la possibilità più concreta è che cerchi di strappare il terzo mandato, se non ci riuscirà, ha pronto il piano B: fare il sindaco di Venezia. Una battuta che disegna il clima è venuta da Luca De Carlo, coordinatore di Fdi in Veneto, parlamentare fedelissimo di Meloni: “Zaia? Sarebbe un ottimo presidente del Coni”. Un po’ riduttivo per le sue ambizioni, ma con quello che sta combinando con la pista da bob di Cortina, sarebbe perfetto. Ma sarebbe anche un ottimo modo per toglierlo di mezzo.

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