Si è tornati a parlare di patria. Lo fa naturalmente la destra, come è sua consuetudine storica fare; lo fanno alcuni intellettuali liberali accorti, come Vittorio Emanuele Parsi, che si rendono conto del rinnovato bisogno di identità come generatore condiviso di energie politiche; lo fa Giuseppe Conte, che ha incentrato un recente seminario della scuola di formazione del M5S sul rapporto tra patria e politica. E infine ne parla anche, da una posizione espressamente di sinistra, Jacopo Custodi in un agile ma efficace libro edito di recente da Castelvecchi, intitolato Un’idea di Paese. La nazione nel pensiero di sinistra.

Il primo compito che si prefigge Custodi, giovane ricercatore presso la Scuola Normale Superiore, è quello di smentire un assunto da qualche tempo in voga presso la sinistra italiana (e occidentale più in generale) che vuole il pensiero socialista e il concetto di nazione necessariamente agli antipodi. Una antitesi – una vera e propria avversione, a ben vedere – che non di rado si è estesa anche allo Stato, reo a sua volta – così vuole questa particolare vulgata – di essere un agente attivo nei rapporti di oppressione. Custodi rintraccia le origini di questa tensione nel movimento no-global, l’ormai dimenticato “popolo di Seattle” che, nonostante le meritevoli intuizioni sulle ingiustizie globali perpetrate dalle grandi multinazionali, aveva troppo frettolosamente scartato le identità nazionali e visto nello Stato un attore politico ormai superato.

A questa raffigurazione statica, il ricercatore oppone una argomentazione teorica e una di carattere storico che restituiscono un concetto di nazione più dinamico e, sul piano politico, appropriabile da fazioni politiche con finalità divergenti. Per quanto riguarda la prima tesi, Custodi fa leva sul contributo di matrice costruttivista di Benedict Anderson, studioso di origine anglo-irlandese e autore del fortunato Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi. In questa prospettiva, la nazione è una comunità immaginata – ma tutt’altro che immaginaria, dati i suoi effetti tangibilissimi – in cui le persone di un determinato territorio, pur non conoscendosi tutte tra loro, si sentono parte di un gruppo più ampio che condivide lingua e tratti culturali simili. Tuttavia, queste immaginazioni politiche non sono fisse, poggiando bensì su caratteristiche e valori politici cangianti, frutto della lotta tra gruppi diversi. Questi ultimi cercheranno di imprimere il proprio significato alla nazione sulla scorta di sensibilità ideologiche contrastanti. In questo senso, scrive Custodi, “la nazione può essere intesa come popolo multietnico e multiculturale, o come comunità basata su una singola razza o su una singola cultura”.

Sul piano storico, basta allargare l’orizzonte temporale e spaziale per apprezzare che il patriottismo è stato messo al servizio di ideali di emancipazione a più riprese. La stessa sinistra italiana, ad esempio, ha mantenuto una connessione intima con lo spirito patriottico tanto durante il Risorgimento quanto nel corso della Resistenza e nel dopoguerra (Jean-Paul Sartre, in visita nel nostro paese, esclamò candidamente: “il Pci è l’Italia”). Sebbene Marx ed Engels ebbero a scrivere nel loro celebre Manifesto che “gli operai non hanno patria” – pur dimostrando al riguardo importanti accenni di ripensamento negli anni successivi, specie con riferimento alla questione irlandese – anche il comunismo nel Novecento si è spesso appoggiato alla nazione.

L’identità nazionale è stata inoltre perno fondamentale nei processi di decolonizzazione e mantiene tuttora una indiscussa vigenza nell’agire politico della sinistra dei paesi periferici che si oppone al neocolonialismo. Il caso del popolo palestinese, in lotta per ottenere uno Stato-nazione, è forse l’esempio più lampante a tal riguardo. Anche il populismo di sinistra alla base di molte delle esperienze della marea rosa latinoamericana, così come dell’azione di partiti europei come Podemos in Spagna e la France Insoumise oltralpe, ha visto nel patriottismo e nel lessico nazional-popolare uno degli ingredienti principali che hanno permesso di portare avanti una azione politica contro-egemonica.

Uno degli obiettivi del libro è infatti far sì che la sinistra italiana possa scrollarsi di dosso quel velleitarismo e quel cosmopolitismo astratto che la rendono distante anni luce dai suoi interlocutori sociali più naturali. Cucire una proposta di sinistra attorno a passioni e simboli condivisi, legandola quindi al sentire spontaneo delle grandi maggioranze, è cruciale per colmare il divario ormai siderale tra intellettuali e popolo. Vale la pena di menzionare in tal senso la polemica che Custodi sviluppa nei confronti di Christian Raimo e Francesco Filippi, autori di due testi in cui vengono prese le distanze dall’identità nazionale (con l’aggravante, nel caso del secondo libro, di fornire una ricostruzione storica imprecisa e inadeguata). Il ricercatore della Normale si avvale di un passaggio di Gramsci per accostare i loro interventi a quelli di altri intellettuali italiani che, già ai tempi del dirigente comunista sardo, erano “lontani dal popolo, cioè dalla ‘nazione’ e… invece legati ad una tradizione di casta […] tutta la ‘classe colta’… è staccata dal popolo-nazione… perché l’elemento intellettuale indigeno è più straniero degli stranieri di fronte al popolo-nazione”. Una posizione, quella di Raimo e Filippi, purtroppo maggioritaria all’interno della sinistra italiana, ma che limita sensibilmente la capacità di estendere l’appello della sinistra che quindi, paradossalmente, contribuisce a renderla minoritaria nel paese.

Il libro di Custodi spazza via ogni ingenuità circa la prospettiva che i nazionalismi possano essere superati in una epoca di globalizzazione. Al contrario di quello che in molti si aspettavano, l’identità nazionale è progressivamente emersa come rifugio ultimo a fronte delle temperie sociali ed economiche che hanno messo in crisi lo Stato e reso vulnerabili settori sociali sempre più ampi. Abdicare a presidiare questo terreno significa lasciare nelle mani della destra uno strumento politico potentissimo destinato a rimanere volenti o nolenti in circolazione. È quindi solo declinando la patria in termini inclusivi, di comunità solidale di uguali che il patriottismo potrà essere riscattato dalla concezione angusta, retriva e svilente in cui viene concepito dalla destra.

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