La madre dei social media, Meta, ha deciso che non pagherà più gli editori australiani per la ripubblicazione di notizie sui suoi siti. Alla scadenza dei contratti correnti, non rinegozierà nuovi accordi. Ed è subito guerra con l’informazione: secondo gli editori, infatti, questa mossa porterà perdite per milioni di dollari di finanziamenti e metterà a rischio molti posti di lavoro. Anche il primo ministro australiano, Anthony Albanese, ha espresso forte disappunto per la decisione presa da Meta che è stata definita “insostenibile”. Il premier ha paventato provvedimenti contro il colosso tech. “È assolutamente critico che i media siano in grado di funzionare e di essere adeguatamente finanziati”, ha detto.”È disonesto che una compagnia possa profittare da investimenti altrui e non solo investimenti di capitale, ma del lavoro di giornalisti”. Per poi concludere: “È un’inadempienza dell’impegno assunto, per la sostenibilità dei mezzi di informazione australiani”.
La scelta di mettere fine alla sezione Notizie arriva in un momento in cui sono venuti al pettine i nodi tra Facebook e l’Australia. Il governo di Canberra, con una legge del 2021, è stato capofila di una normativa che costringe i colossi del web, tra cui anche Google, a stringere accordi con gli editori vista la diffusione sulle loro piattaforme di contenuti giornalistici e un beneficio sulle entrate pubblicitarie. Per Facebook e tutti i big della tecnologia è stato un forte precedente a livello globale. Per contro, per la società la decisione “fa parte di uno sforzo continuo per allineare meglio i nostri investimenti ai prodotti e ai servizi che le persone apprezzano di più. Sappiamo che le persone non vengono su Facebook per notizie e contenuti politici: vengono per connettersi con le persone e scoprire nuove opportunità, passioni e interessi. Come abbiamo già spiegato nel 2023, le notizie rappresentano meno del 3% di ciò che le persone di tutto il mondo vedono nel loro feed”. Meta ci tiene a precisare che le modifiche che interessano Facebook News “non avranno impatti sui suoi prodotti e servizi in questi Paesi e le persone potranno comunque visualizzare i collegamenti agli articoli di notizie su Facebook. Gli editori di notizie continueranno ad avere accesso ai propri account e alle proprie pagine, nello stesso modo in cui può farlo qualsiasi altro individuo o organizzazione”.
Del resto, il tema dell’equo compenso che spetta a chi produce pubblicazioni giornalistiche online riguarda anche l’Italia. Pochi giorni fa la Federazione italiana editori giornali (Fieg) si è schierata contro la sospensione del Regolamento sul compenso deciso dal Tar del Lazio su richiesta di Meta. Il regolamento Agcom, frutto del confronto con le associazioni e le rappresentanze di categoria del settore, “individua i criteri di riferimento per determinare l’equo compenso dovuto per l’utilizzo online dei contenuti editoriali e obbliga le piattaforme a mettere a disposizione i dati necessari a tale scopo”. Una sua sospensione, di fatto, “solleva le piattaforme dagli obblighi previsti dalla normativa di recepimento della Direttiva copyright ed allontana l’obiettivo di tutelare adeguatamente il prodotto editoriale”, sostiene la Federazione auspicando che “il Consiglio di Stato riconosca in tempi brevi le ragioni degli editori e dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni mantenendo in vigore, in attesa che la Corte di giustizia europea si pronunci sulla normativa italiana di recepimento della Direttiva copyright, le regole introdotte dal Regolamento Agcom”. Gli editori, al fianco dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, condividono quanto detto dal commissario Agcom, Antonello Giacomelli, e sottolineano “l’importanza di agire in tutte le sedi per tutelare la qualità e la sostenibilità dell’informazione, garanzia dei principi di pluralismo e di libertà d’espressione di ogni società democratica”. Fieg ricorda che “l’Italia, con una legge definita dagli osservatori europei come benchmark della riforma più avanzata nel quadro degli ordinamenti europei per quanto riguarda la tutela dei diritti degli editori di giornali, è stato il primo tra gli Stati membri a dotarsi di un meccanismo negoziale regolamentato finalizzato al riconoscimento effettivo del diritto connesso”.