Fino all’arresto, nel 1985, Barbara Balzerani era “la primula rossa”, una figura chiave delle Brigate rosse, la compagna del capo Mario Moretti al tempo del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro. Se n’è andata ieri per un tumore, aveva 75 anni, gli ultimi li ha passati a difendere sé stessa e le Br dall’accusa di aver rapito e ammazzato Moro su ordine della Cia o di chissà chi. Era tecnicamente un’irriducibile, cioè né pentita né dissociata, ma già verso la fine degli anni 80 con Renato Curcio e Mario Moretti dichiarò conclusa l’esperienza della lotta armata, disse poi qualche parola per i familiari delle vittime e prese le distanze dal gruppo che tra il 1999 e il 2002 aveva rispolverato la stella a cinque punte per uccidere i giuslavoristi Massimo D’Antona e Marco Biagi. Abbiamo parlato di lei con Pino Casamassima, giornalista e saggista, autore di diversi libri sulle Br da Il libro nero delle Brigate Rosse (Newton Compton, 2007) a Brigate rosse. Storia del partito armato dalle origini all’omicidio Biagi (Baldini+Castoldi, 2022), di cui domani esce un’edizione aggiornata. “Posso regalarti un aneddoto – racconta Casamassima -. Avevo con Balzerani non dico un’amicizia ma almeno una conoscenza, ci eravamo scambiati messaggi fino a quando nel 2018, in occasione del quarantennale del sequestro di Aldo Moro, fece un’uscita che mi irritò moltissimo.

Ricordo: chiedeva ospitalità all’estero in vista, scriveva, dei “fasti del quarantennale”

Esatto e io scrissi sul Corriere che era un’uscita di cattivo gusto, ritenevo che potesse risparmiarsela, se non altro per buon gusto verso la famiglia Moro. Lei da allora mi bannò, mi impedì qualsiasi accesso a lei. Me ne feci una ragione. Peraltro le maggiori informazioni sulle Br non le avevo mai avute da lei, venivano da altri, anche da un’altra donna, Adriana Faranda.

In realtà Balzerani manifestava la sua insofferenze per le dietrologie sul caso Moro.

Certo, sono sono stati in troppi a rimestare nel torbido di una storia che sta nelle carte processuali, per riscriverla con accenti dietrologici. Per quanto riguarda Balzerani, parliamo di una delle leader.

La donna più importante nella storia delle Br?

Senza dubbio, tanto è vero che le Br-Pcc (Partito comunista combattente, ndr) erano dirette da lei dopo l’arresto di Moretti nel 1981. L’episodio più importante, proprio quell’anno, fu il sequestro del generale americano James Lee Dozier. Balzerani ha fatto tutta la traversata desertica della storia delle Br, le va riconosciuta una significativa coerenza che l’ha portata a essere identificabile come una delle figure topiche. È il personaggio femminile che si può accostare a Moretti, che oggi vive nel Bresciano come me.

Ai tempi di Moro stavano insieme. E insieme fecero scoprire la base di via Gradoli a Roma, uno dei grandi misteri: indicata da una seduta spiritica, in una strada piena di appartamenti dei Servizi segreti, la doccia lasciata aperta per mandare l’acqua al piano di sotto, le forze di polizia che preferirono dedicarsi al paese di Gradoli nel Viterbese… Non c’è più di qualcosa da chiarire?

Un momento. Gli appartamenti dei Servizi vennero dopo il 1978. E il paese di Gradoli non fu messo a ferro e fuoco, non ci andarono i battaglioni dell’Esercito, solo una pattuglia dei carabinieri per riscontrare il nulla. A Roma in via Gradoli c’era la base più importante, frequentata da Moretti e Balzerani ed era Moretti che interrogava Moro in via Montalcini. Ma non è vero che non ci andarono: bussarono, nessuno rispose e se ne andarono. Era il 18 aprile. Poi quella base venne bruciata dalle stesse Br, è ovvio che furono loro, Moretti disse che Barbara aveva lasciato l’acqua aperta perché disattenta, il che era impensabile per come funzionavano le Br. Ma aveva un senso: dovevano farlo in modo clamoroso per comunicare ai loro compagni che quella base era bruciata, non c’erano mica i telefonini…

Tutto chiaro insomma?

Nell’affaire Moro, come lo chiamò Leonardo Sciascia, finirono tutti, i Servizi italiani e quelli stranieri. Non poteva che essere così, ma non è sostenibile che le Br siano state eterodirette nel rapimento, nella gestione del sequestro e nella decisione di uccidere Moro. Ci furono tentativi di ingerenza, ma il tentativo di spostare la vicenda su un terreno che non apparteneva alle Br è fasullo. Dobbiamo attenerci alle carte, cinque processi e due commissioni d’inchiesta, altrimenti ognuno racconta quel che vuole come al bar. Che ci siano dei buchi neri è ovvio, dopo più di 60 anni ce ne sono anche per l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy. Ma più che parlare della doccia di via Gradoli mi piacerebbe sapere dal professor Romano Prodi della famosa seduta spiritica che indicò Gradoli. Io me la spiego così: quell’informazione arrivò dall’interno dell’Autonomia operaia di Bologna, dove Prodi insegnava, e per trasmetterla a chi di dovere non trovarono di meglio che raccontare una seduta spiritica. Ma una sciocchezza come quella non può dirla un professore universitario.

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