“Non so nemmeno da che parte cominciare, è chiaro che tenere i benestanti in prigione in Italia non è semplice. Pensa se a ammazzare come conseguenza di altro reato una ragazza di vent’anni a seguito di un tentativo di stupro di gruppo fosse stato un disgraziato, o un migrante”. Non rinuncia ad allargare lo sguardo Bruno Rossi, papà di Martina, appena ricevuta la notizia dell’affidamento in prova e la conseguente scarcerazione di Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, condannati nell’ottobre del 2021 in via definitiva a 3 anni per tentata violenza sessuale di gruppo contro la ventenne genovese in vacanza a Palma di Maiorca. Nelle motivazioni della Cassazione i giudici scrissero che la studentessa cadde “nel disperato tentativo di sottrarsi allo stupro”.
“Quei due ‘bravi ragazzi’ in sostanza di carcere vero credo non abbiano fatto neanche un giorno, la sera tornavano a dormire in prigione e di giorno lavoravano con i loro papà – continua Bruno, integrando alle sue le riflessioni di sua moglie Franca – Il senso dell’affidamento ai servizi sociali dovrebbe essere che lo Stato riconosce che ti sei reinserito nella società e hai compreso le tue responsabilità, ma com’è possibile concedere una cosa del genere a due che non hanno mai chiesto scusa, rifiutando di fatto la verità giudiziaria affermata dalla sentenza della Cassazione?”. Il 13 aprile ad Arezzo si terrà la prossima udienza per il processo civile che determinerà un risarcimento che la famiglia Rossi ha già deciso di destinare al sociale: “Sono soldi sporchi e maledetti, speriamo almeno possano essere utili a chi ne ha più bisogno. Un papà e una mamma che hanno perso una ragazza di vent’anni molto probabilmente non riescono a concepire pene adeguate, punizioni che possano essere pari a una vita senza una figlia, adesso resta anche l’amaro in bocca di vedere questa dei ‘lavori socialmente utili’. Da domani cercheremo di vedere se potremmo tutelarci a livello legale e risistemare le cose e riavere un pochino di giustizia”.